CineMachine | Moon
REGIA: Duncan Jones
CAST: Sam Rockwell, Kevin Spacey, Kaya Scodelario, Dominique McElligott
GENERE: Fantascienza, Drammatico
DURATA: 97 minuti
DATA DI USCITA: 4 dicembre 2009
Ritorna la nostra, oramai, classica rubrica di cinema con uno dei migliori film di fantascienza degli ultimi vent’anni. Da molti considerato un vero e proprio capolavoro del genere, quest’oggi vi voglio parlare di “Moon” di Duncan Jones, regista che, forse, alcuni di voi avranno sentito nominare per “Warcraft – L’inizio”, uscito al cinema in Italia il 1° giugno 2016.
La trama è di una semplicità estrema. Sulla Luna, in un futuro non precisato, è stata installata una base mineraria per l’estrazione di elio-3, la principale fonte di energia utilizzata sulla Terra. Qui lavora Sam Bell (Sam Rockwell) da circa tre anni come unico operatore; il suo compito è quello di sovraintendere alla fase di prelievo e regolare le spedizioni di capsule energetiche dalla Luna. Sam sta per concludere il suo periodo di lavoro e sta aspettando con ansia di poter tornare a casa dalla sua famiglia. Isolato e privato di un qualsiasi contatto umano, il nostro protagonista passa il suo tempo svolgendo le sue mansioni e scambiando quattro parole con Gerty (Kevin Spacey), il computer centrale della base.
Nell’ultimo periodo, Sam ha cominciato a soffrire di forti attacchi di emicrania ed è vittima di allucinazioni. Ciò lo porta ad avere un pericoloso incidente all’esterno della base, ma riesce a sopravvivere ed a ritornare all’interno della struttura, dove farà un incontro alquanto sconcertante: un uomo, del tutto simile a lui, si presenterà come Sam Bell, operatore della stazione mineraria Sarang. Sta aspettando, anche lui, di tornare dalla sua famiglia …
Era il 2009, quando Duncan Jones, portò nelle sale un film, a dir poco, strepitoso. In un periodo dove il cinema viaggiava parallelamente a blockbuster come “Transformers”, “Harry Potter” e “X-Men”, Jones ha fatto riscoprire il piacere della vera narrazione cinematografica; le immagini si concatenano spettacolarmente, creando un quadro visivo intelligente e sofisticato che ricorda un po’ il lavoro che Stanley Kubrick fece per il suo “2001: Odissea nello spazio”.
Tutto ciò si abbina ad una sceneggiatura molto accurata. Le battutine che Sam e Gerty si scambiano smorzano un po’ l’inclinazione melodrammatica che il film comincia a prendere dopo pochi istanti dall’inizio e ciò fa sì che il film mantenga un ritmo equilibrato e constante, regalandoci un esperienza quasi onirica.
Non si direbbe neanche che il film sia stato girato con un budget di appena 5 milioni di dollari. I dettagli nella messa in scena, negli oggetti di scena, nel background complessivo e nella stessa CGI sono veramente incredibili. Inoltre “Moon” è stato il primo lungometraggio di Duncan Jones, quindi il suo esordio nel mondo del cinema e quest’ulitmo è avvenuto non solo con una pellicola che dona un’esperienza cinematografica autentica e genuina, con rimandi a film come “2002: la seconda odissea”, “Alien” o “Atmosfera Zero”, ma anche con un velo di umiltà che Jones ha dimostrato, celando ai molti la sua vera identità. Di fatto, il vero nome del regista è Zowie Bowie. Lo scambio di nome è avvenuto, principalemente, per non essere facilmente collegabile a suo padre, il celebre cantante David Bowie (morto il 10 gennaio 2016).
Oltre la mia personale sfera affettiva che nutro sia nei confronti di questo film che nei confronti del regista, “Moon” non è solo un film ineccepibile dal punto di vista della trama e della messa in scena, ma è anche un film che regala dei messaggi potentissimi. Lo stato di isolamento che qualche volta ci troviamo ad affrontare, come nel caso di Sam, è un condizione in cui possiamo entrare realmente in contatto con noi stessi e porci delle domande. Di fatto, il finale rimane aperto e ci lascia molti interrogativi sul destino effettivo del nostro protagonista.
L’isolamento e il relativo senso di intrappolamento che affrontiamo e da cui possiamo uscire solo ponendoci le giuste domande, sono le condizioni in cui Jones aggiunge un altro tipo di messaggio, ovvero l’uso o, per meglio dire, l’abuso di un corpo, di una persona. Questa si riduce drasticamente ad essere considerata come un oggetto da usare, perfettamente sostituibile. La svalorizzazione della individualità come spazio dove si manifestano le nostre azioni, i nostri pensieri, i nostri ricordi, i nostri dolori ed affetti, comporta uno sradicamento della coscienza che noi abbiamo della realtà che ci circonda. Il mondo è vermanete come noi lo conosciamo o qualcos’altro? Ricollegandoci al filoso Cartesio: “Se vuoi diventare un vero cercatore della verità, almeno una volta nella tua vita devi dubitare, il più profondamente possibile, di tutte le cose”. Dubitare, porsi delle domande sul sistema che ci ha intrappolati, su ciò che ci ha isolati, su ciò che ci ha resi privi di una qualsivoglia individualità e che ci ha asserviti alle sporche meccaniche di un apparato politico-economico-sociale che non vede delle persone, ma vede dei consumatori, vede della forza lavoro, vede dei numeri.