CineMachine | Old Boy
REGIA: Park Chan-wook ● CAST: Choi Min-sik, Yoo Ji-tae, Kang Hye-jung, Kim Byeong-ok, Oh Dal-su, Ji Dae-Han, Oh Tae-kyung, Yoon Jin-Seo, Lee Seung-Shin, Lee Dae-yeon, Ahn Yeon-suk, Oh Gwang-rok, Yoo Yeon-seok ● GENERE: thriller, drammatico ● DURATA: 120 minuti ● DATA DI USCITA: 6 maggio 2005 (Italia)
Old Boy del 2003 per la regia di Park Chan-wook.
Storia: “Ridi e il mondo riderà con te. Piangi e piangerai da solo”. Non ha idea di come sia stato imprigionato, drogato e torturato per 15 anni, ma Dae-su Oh (Choi Min-sik), un disperato uomo d’affari, sta tentando di scovare l’uomo che l’ha voluto rinchiudere e di ottenere la sua vendetta.
Un film che evade dai canoni mentali dello spettatore medio. Un’opera psico-sociale indescrivibile che si è guadagnata il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2004, infervorando l’immaginazione del regista statunitense Quentin Tarantino, il quale affermò con decisione che questo era il film che avrebbe voluto fare.
Entusiasmo condiviso da molti critici e anche dalla maggioranza del pubblico internazionale. Di fatto il film ha incassato all’incirca $15.000.000 a dispetto dei $3.000.000 spesi in fase di produzione, diventando un vero film di culto in svariati paesi. Inoltre del film è stato fatto anche un remake diretto dal famoso regista statunitense Spike Lee di cui è meglio tralasciare i dettagli.
Oramai è ben noto che la Corea del Sud si sta sempre più facendo strada nel mercato cinematografico mondiale. Di fatto da quasi un decennio il cinema coreano raccoglie premi nei festival più importanti ed sta esportando in tutto il mondo i suoi cineasti più rappresentativi, dall’inflazionato Kim Ki-duk a Park Chan-wook, passando per Lee Chang-dong, Bong Joon-ho, Im Sang-soo, Kang Je-gyu, Jang Sun-woo e via discorrendo.
Tornando al film: “Sia un granello di sabbia che una roccia nell’acqua affondano allo stesso modo”. Questa è una delle tante frasi emblematiche che il film ci regala. In ciò si rivela precocemente una verità presente nel film ossia che la forza interiore di una persona che gli consente di avere successo nella vita, nei rapporti sociali, nel lavoro non sono nulla in confronto alle possibili situazioni devastanti dell’esistenza. Le possibilità estrema è, per ovvie ragioni, la morte, sia quella personale che quella del prossimo a noi molto caro. Pertanto le persone, indistintamente da ciò che hanno realizzato nella loro vita, seguono un percorso che le porterà incondizionatamente ad una conclusione definitiva e terminale e ciò rende l’essere umano perdutamente inconsistente.
Seguendo tale indicazione, possiamo rivolgere lo sguardo al protagonista di questa cupissima e violentissima storia. Il suo nome è Dae-su che significa, come egli stesso ci rivela, colui che si diverte e va d’accordo con tutti gli altri. È interessante avvicinare questo significato alla figura della formica che nel film connota la paura e la pazzia di Dae-su durante il suo periodo di reclusione, ma in essa è contenuta anche la sua tenacia, la sua operosità, la sua forza fisica, pienamente espressa in un incredibile piano sequenza dove lo vediamo caricare i suoi aggressori con un martello e con i suoi pugni. Inoltre la sua diffidenza nei rapporti amorosi è tipico della simbologia collegata alla formica.
Di fatto il protagonista ha un’evoluzione nel corso della storia. Passiamo da un personaggio più inebriato e vago ad una figura più delineata dai caratteri del trauma che sta gradualmente vivendo. Vediamo quasi sempre Dae-su taciturno, disorientato, scontroso e vestito di nero che è il simbolo della negazione assoluta della realtà in cui vive. Ciò ci ricorda costantemente che Dae-su si è dimenticato qualcosa di molto importante. Qualcosa che gli permetterà di capire il perché del suo imprigionamento e di questo continuo e snervante tormento, ma ciò lo potremmo vedere solo nella parte finale della pellicola che, in qualche modo, si collegherà ad una scena capitata precedentemente.
Detto questo il film è diretto in modo eccezionale. Attraverso dei movimenti e delle combinazioni nel montaggio il regista riesce a trasmettere la tensione e la cupidigia dei suoi personaggi, regalandoci una storia con risvolti tanto inattesi quanto sconcertanti. L’ambientazione scelta dal regista non a caso è quella della città che tutto sa e tutto vede. Sono molte le cose che “la città” sa e che piano piano vengono a galla e lo spettatore non può far altro che applaudire a così tanta bravura nel saper mandare avanti una storia per piccole rivelazioni sia da parte dell’autore sia da parte degli interpreti.
Il modo in cui lo spettatore può capire che ci sarà un avanzamento nella trama è dato dall’apparizione sulla scena di alcune scatole viola, infiocchettare a dovere come un regalo fatto al protagonista. Anche qui il colore non è irrilevante, perché il viola è il colore del dolore, del tormento e della tristezza. Di fatto questi “regali” sono un modo per l’autore di questo sadico gioco di portate il protagonista precisamente dove egli desidera, amalgamando momenti di respiro a momenti veramenti molto duri e angosciosi.
Insomma OldBoy di Park Chan-wook è un film veramente straordinario che ha saputo trasformare sapientemente il manga omonimo scritto da Garon Tsuchiya e disegnato da Nobuaki Minegishi un un qualcosa di visivamente sublime e drammaticamente grottesco. Un film che gode di un ampio respiro in un finale che lascio riassumere tramite lo stesso interrogativo di Dae-su: “Sebbene io sappia di essere peggio di una bestia, non crede che abbia anch’io il diritto di vivere?”.
Un film non per tutti, ma assolutamente da recuperare per gli amanti del thriller o di chi ha il desiderio di sperimentare qualcosa di piacevolmente nuovo e avvincente.