CineMachine | The Wicker Man
REGIA: Robin Hardy ● CAST: Edward Woodward, Christopher Lee, Britt Ekland, Diane Cilento, Ingrid Pitt, Lindsay Kemp, Russell Waters, Robin Hardy, Aubrey Morris, Irene Sunters, Walter Carr, Roy Boyd● GENERE: horror, mystery ● DURATA: 99 minuti ● DATA DI USCITA: Luglio 1974 (Trieste Sci-fi Film Festival)
The Wicker Man del 1973 per la regia di Robin Hardy.
Storia: Il sergente Neil Howie è inviato su una remota isola ad indagare sulla scomparsa di una ragazza. Le prime indagini si rivelano alquanto infruttuose, dato che la gente del posto sostiene di non aver mai visto o conosciuto la ragazza. Il fatto si rivela colmo di mistero e ancora più misteriosi e sconvolgenti si riveleranno i rituali pagani che la popolazione svolge all’interno dell’isola.
Forse uno dei migliori film horror d’atmosfera mai realizzati. Un film che ha come obiettivo quello di disorientare lo spettatore, portandolo gradualmente verso un culmine di terrore che non affonda le sue radici in una violenza prettamente fisica, cosa che invece sembrerebbe essere stata volutamente accentuata nel remake del 2006, ma per lo più nell’inquietudine e nella tensione dovuta ai caratteri insoliti ed eversivi dei suoi personaggi e della storia stessa.
Tutto questo viene raggiunto dal regista contrapponendo fortemente il protagonista e l’antagonista e usando efficacemente la componente musicale e l’estensione sonora, molto più vivace di quello che ci si potrebbe aspettare da un qualsiasi altro film dell’orrore. Le allegre melodie popolari che ci rimandano ad un passato ambiguo e tenebroso sono il sunto di quel forte contrasto tra spensieratezza e paura. Sta di fatto che da molti The Wicker Man è ritenuto quasi un “musical horror” anticipando di due anni l’uscita nelle sale di The Rocky Horror Picture Show (1975), anche se lo spettacolo teatrale di codesta opera era già in voga nel periodo in cui The Wicker Man faceva il suo debutto nei cinema del Regno Unito.
Più che un “musical horror”, sarebbe bene definire il film di Robin Hardy come un “folk horror”, termine coniato da Mark Gatiss nella sua fantastica mini-serie di documentari, A History Of Horror, del 2010. Tra gli altri film citati all’interno di questa categoria possiamo trovare anche La pelle di Satana (1971) di Piers Haggard o Il grande inquisitore (1968) di Michael Reeves. Questo solo per mettervi una pulce nell’orecchio, semmai voleste approfondire il discorso.
Tornando al film. La ricerca metodica del protagonista richiede decisamente molto tempo per svelare i fatti, il che si rivela avvincente in quanto è costantemente intrigante. Non vi sono particolari cadute di tono e il film attira l’attenzione dello spettatore dal principio fino al suo epilogo. Merito di un’eccellente sceneggiatura, un eccellente Christopher Lee e un superbo e sorprendente Edward Woodward. È la sua interpretazione che traina tutto il film, culminando in una recitazione di primissimo ordine nell’atto finale, in cui abbiamo un compendio alquanto brutale sulle assurdità della religione sia nel passato che nel presente.
Il film mostra le ignominie di uno scontro aperto tra la fede cruenta e incrollabile degli isolani e la fede cristiana altrettanto inamovibile del sergente Howie in una battaglia che è destinata a crollare tragicamente nel ridicolo e nella violenza. Di fatto né le convinzioni cristiane di Howie né le credenze pagane della comunità di Summerisle hanno vacillato di fronte alle rispettive posizioni. Un dialogo che non è vero dialogo, in quanto si basa su preconcetti irrazionali ed illogici che sono i relativi dogmi di queste due religioni.
Così, mentre Woodward calpesta aggressivamente e arrogantemente l’isola, respingendo inavvertitamente la “dissolutezza” di cui è testimone, restiamo scioccati dal suo modo violento di porsi. Non perché siamo necessariamente d’accordo con ciò che viene praticato dagli isolani, ma perché siamo testimoni di un uomo chiaramente senza una fessura di un’apertura mentale. Abbiamo così difficoltà a schierarci con lui quando ha il suo primo incontro con Lord Summerisle. Costui, assolutamente affascinante e seducente, è così cristallino, educato e calmo che non possiamo non provare dell’ammirazione per lui. Ma questa figura è destinata a barcollare più avanti durante le celebrazioni del Primo Maggio, mentre sfreccia intorno all’isola in modo completamente ridicolo e scialbo.
Siamo così lasciati in bilico tra ammirazione e disperazione per queste due parti, indipendentemente da quali possano essere i nostri sentimenti riguardo alle due dottrine rappresentate. Eppure alla fine di tutto non si può che proferire che questo film è puramente e semplicemente un atto di equilibrio dove la religiosità e i suoi dogmi viene messa a nudo, permettendoci di vederci per quello che siamo, separandoci intelligentemente da tutte quelle fonti di intolleranza che molte religioni portano con sé.
L’uomo di vimini è la rappresentazione di quella religiosità dogmatica e asettica che pretende di poter risolvere e confinare le innumerevoli questione dell’uomo all’interno dei suoi dogmi. Ciò non può far altro che porre l’uomo in una condizione di disorientamento e, di conseguenza, di disprezzo verso ciò che non si riesce a comprende e verso ciò che va contro le proprie convinzioni.
Per concludere amerei citare due autori. Voltaire nel suo Trattato sulla tolleranza (1763) e Bertrand Russel in Perché non sono cristiano (1957). Nel primo c’è scritto: “La tolleranza è una conseguenza necessaria della nostra condizione umana. Siamo tutti figli della fragilità: fallibili e inclini all’errore. Non resta, dunque, che perdonarci vicendevolmente le nostre follie. È questa la prima legge naturale: il principio a fondamento di tutti i diritti umani”. Nel secondo Russel afferma: “Dobbiamo aver fiducia in noi stessi, e guardare il mondo con sicurezza. Dobbiamo rendere questo mondo il migliore possibile, e se non è proprio come lo desideriamo, sarà sempre migliore di come ce lo hanno ridotto. Un mondo migliore richiede sapere, bontà e coraggio. Non bisogna rimpiangere il passato o soffocate la libera intelligenza con idee che uomini ignoranti ci hanno propinato per secoli”.
The Wicker Man mostra sicuramente la sua età, ma la sua qualità nello storytelling e l’atmosfera unica lo rendono singolarmente intrigante e uno dei veri classici del genere. Uno dei migliori film horror d’atmosfera britannici mai realizzati.