Incontri ‒ La speranza delusa (scambi all’ingresso del cimitero di Schio)
Vedevo sempre Prince parlare con gli anziani la mattina di ogni sabato, mentre la mattina della domenica lo faceva un altro ragazzo, Gariba. Prince appoggiato al solito albero con la schiena e con un cappellino girato verso l’alto nella speranza di qualche euro. Ci salutavamo tutte le volte, io parcheggiavo l’auto a pochi metri da lui. Inevitabile passarci davanti.
Un giorno gli chiesi di dove fosse originario. Mi rispose del Ghana e allora tentai di capire perché un ragazzo nel pieno delle forze ricorresse all’elemosina davanti al cimitero di Schio. La risposta fu meno ovvia di quanto pensassi e parlammo in inglese perché era un po’ debole il suo italiano.
Mi spiegò che, dopo un lungo periodo senza impiego, lavorava da lunedì a venerdì in una fabbrica e le sere del venerdì, del sabato e della domenica faceva il lavapiatti in una trattoria. A quel punto ero disorientato: due lavori e chiedeva anche l’elemosina. Non capivo e provai a chiedere la ragione, senza essere troppo invasivo nelle domande.
Aveva un sogno: riuscire a far studiare i suoi due fratelli più piccoli in Ghana. Ogni sabato mattina riusciva a raccogliere circa 15-20 euro, perciò 70-80 euro al mese. Come un buon ragioniere mi raccontò il suo piano: un paio di anni davanti al cimitero e avrebbe avuto una somma sufficiente.
Determinato e sempre col sorriso, Prince mi sembrava la negazione di certi stereotipi: gentile, gran voglia di lavorare e grato all’Italia. Una frase diceva più volte, che traduco in italiano: «Ringrazio sempre il vostro paese, mi ha dato possibilità che neanche immaginavo».
Mi raccontò di essere giunto in Europa con un barcone dalla Libia qualche anno fa, mettendo piede in una spiaggia vicino a Gela, in Sicilia. Non gli chiesi di quel viaggio, temevo di aprire cassetti interiori dolorosi, perciò provai a domandare come mai in Veneto. Frutto di casualità. Un compagno di viaggio dalla Libia aveva già un contatto che lo avrebbe aiutato ad andare nel nord Italia dove, già sapeva, c’era più lavoro e quindi la notte successiva si ritrovò con altre due persone dentro un furgone. Tante ore di viaggio fino a quando fu letteralmente lasciato in un parcheggio vicino al casello di Piovene Rocchette. Passò alcune settimane in giro prima di conoscere un altro cittadino ghanese e da lì le cose cominciarono a migliorare.
Ha svolto diversi lavori: bracciante, muratore, per un lungo periodo ha fatto le pulizie in un albergo e infine operaio in una fabbrica nella zona industriale di Schio, oltre al lavapiatti.
Durante il periodo di lockdown non l’ho mai visto, ovviamente, e un paio di settimane fa ho incontrato Gariba, il ragazzo della domenica. Gli ho chiesto se conoscesse Prince e ho notato subito un viso preoccupato e in ogni caso pensieroso.
«Prince è tornato nel suo paese».
«Ah, non sapevo…».
«Un giorno è passato a salutarmi e mi ha detto che stava per tornare in Ghana, è morto uno dei suoi fratelli».
«Cavolo, mi dispiace. Ma tu hai il suo numero di telefono?».
«No».
«Buona giornata».
«Anche a te».
Un fratello è sempre un fratello, ma non nascondo di avere pensato subito se fosse uno dei due fratelli che voleva aiutare negli studi. Chissà se un giorno rivedrò Prince nel solito posto, ma ho la sensazione che non sarà così.