Into the wild – Eppure un giorno, lupo ed orso, vi incontrerò
Torna, puntuale, a cantare l’arrivo della buona stagione. E’ qui sotto casa, lo sento ogni mattina, esco con la tazza di caffè sul balcone appena sveglio, ad ascoltarne il canto. Dovessi spiegare il bello di vivere in una valle come la mia, subito risponderei che qui posso percepire perfettamente lo scorrere delle stagioni. Il cuculo ne è l’esempio più tangibile, nel suo canto di ogni primavera, nel regalarmi il migliore possibile dei buongiorno. Lo ascolto, è qui sotto, anche se non è semplice vederlo e incontrarlo, confuso come è tra la vegetazione imponente.
E’ cresciuta insieme a me la vegetazione nella valle, è cresciuta molto più di me, occupa la meraviglia delle masiere che i nostri vecchi hanno con fatica costruito. Solo l’inverno e il contrasto della neve svela i muretti a secco fin dove arrivano e la trama dei sentieri che li raggiungeva. Solo guardando fin lassù, quand’ero piccolo, scorgevo col binocolo i caprioli nelle sere d’estate. Oggi invece sono anch’essi qui sotto, da anni si lasciano ammirare al sapore del caffè sul balcone, lì a mangiare l’erba più fresca subito dopo lo sfalcio.
E’ cambiata insieme a me la mia valle in pochi decenni, i prati verdi ad occupare aree sempre più piccole, le persone a vivere in uno spazio sempre più esiguo, la natura e la fauna a riprendersi tutto il loro splendore. Muovermi mi ha messo in cerca in cerca di tutta la vita che mi è accanto, che trovi nei guizzi velocissimi delle lucertole sotto il sole o nel buffo ondeggiare sotto la pioggia delle salamandre. Correre regala gli incontri fugaci più impensabili con gli animali.
Tra le cime della vallata, dallo Spitz di Tonezza al Cengio, tra i forti Campolongo e Belvedere, sino alle sorgenti dell’Astico, se corri per sentieri puoi proprio incontrare di tutto. Solo quarant’anni fa venivano reinseriti i camosci, oggi puoi partire da casa per andare a trovarli. Capita perfino, come a me alla Tarbisa, che nello spazio di trenta centimetri di sentiero tra spuntoni di roccia, ci passi tu e contromano due camosci a rincorrersi. Brividi veri, anche se loro più di me sanno trovare lo spazio affiancandomi a pochissimi centimetri senza voler rallentare.
A volte serve prestare attenzione, ma gli animali ci scorgono quasi sempre per primi. Spesso è il loro spaventarsi l’unica vera preoccupazione, come tutte le volte che il branco di mufloni in Val Grossa mi sente arrivare, allontanandosi dal corso d’acqua qualche metro sopra di me, lasciando sempre rotolare qualche sasso sul mio solito percorso. L’acqua corrente avvicina gli animali, i mufloni di giorno, i cervi vicino all’Astico durante la sera.
Non vorrei mai fare ritorno a casa quando si accende la sera. La luce si fa pian piano più fioca, il leprotto non si fa alcun problema ad attraversarti la strada, il capriolo sembra aspettarti nel pascolo, i camosci curiosi aspettano il tuo arrivo. L’arrivo della sera sembra rinnovare l’appuntamento con le diverse specie animali, in fondo la Val Torra ritrovo sempre gli stessi vecchi amici. Nemmeno ti accorgi che la luce si sta spegnendo con il giorno e il buio è lì a far compagnia alla vita del mondo animale. Lo spavento di una civetta è li a ricordarmelo.
Non rinuncerei mai a correre con la frontale di notte. La notte amplifica i sensi; vedi perfettamente, meglio che di giorno, nei due metri davanti a te, ascolti ciascuno dei rumori che senti al tuo fianco. Inquadri il disegno geometrico delle ragnatele e i suoi ragni, individui gli scarabei e qualsiasi altro insetto, ma i tuoi sensi sono tutti al di là della tua visuale. Basta una corsa repentina per girare il tuo sguardo a scorgere due occhi ignoti che ti guardano nel buio. Rimani guardingo di notte negli spazi chiusi per poi vederti attraversare, negli scorci di prato aperto, il tasso insieme al passo danzante dei suoi piccoli, o la donnola nel girovagare in cerca delle sue piccole prede.
Non farei mai a meno del lento risveglio del giorno. La notte si fa lentamente meno nera, parte il canticchiare sporadico dei primi uccelli, sino al concerto dell’aurora. Le prime luci dell’alba ti riconsegnano il tuo vagare sordo tra i silenzi del bosco, il gorgoglio vero dell’acqua di sorgente, la curiosità per l’orizzonte. Così ti ritrovi all’improvviso la femmina del gallo cedrone davanti a te, o ti riscopri a inseguire involontariamente la corsa dello scoiattolo, o vedi svolazzare a pochi centimetri senza indugio il gallo forcello.
Sono lì a correre alla luce del giorno, sposto il piede tra il marasso o l’aspide e ripenso, alle paure e ai timori dell’educazione che ho ricevuto. Sorrido con la tenerezza di chi ricorda suo padre, penso agli incontri da tutti temuti, per le paure che gli uomini portano con se, a tutti gli “stai attento a girare da solo”, tutte le volte che mi avventuro nella vallata che sempre meno i miei simili frequentano.
Torno a casa, passeggio rilassato con Barbara e Camilla, e trovo la volpe e i suoi piccoli che si fermano persino sulla strada a guardare noi che andiamo loro incontro. Com’è cambiata la mia valle, con l’uomo che lascia tutti gli spazi alla natura. Cambia la valle, ma, ahinoi, sta cambiando anche il mondo circostante. Con sempre meno rondini che fanno ritorno, con le api che stanno drasticamente riducendosi, coi bimbi che a fatica inseguono le farfalle.
Eppure io qui a chiedermi degli incontri che ancora non ho avuto la fortuna di vivere. Sogno gli avvistamenti impossibili, alla lince, che se qui intorno anche ci fosse, mi sentirebbe con l’olfatto a centinaia di metri. Eppure sognare non costa nulla. Eppure un giorno, mi dico, toccherà a noi, cari lupo ed orso, incontrarci. Siete lì vicino a noi, ogni giorno di più, senza qui nemmeno alcun pascolo con il bestiame minacciato. Ci incontreremo, ciascuno con le nostre paure. Ci saluteremo come animali vivi, insieme, come chi frequenta giorno e notte, in ogni angolo remoto, lo stesso ambiente.