Martina, radici a Schio e cuore in Nicaragua
Martina Dei Cas è una ragazza trentina ma con origini vicentine. Ha 25 anni, una sensibilità straordinaria ed una penna, se possibile, ancora più fine. Anche se giovanissima, ha già pubblicato due libri ambientati in Nicaragua, dove anni fa ha svolto un periodo di volontariato. “Cacao Amaro” e “Il Quaderno del Destino”, due romanzi che raccontano con vitalità un Paese povero e bisognoso di risorse per lo sviluppo. Con i proventi di questi due libri Martina ha ideato e finanzia il progetto “Un libro per una biblioteca”, col quale acquista materiale scolastico per i ragazzi dell’istituto “Ubaldo Gervasoni” nella città nicaraguense di Waslala. Attraverso questi due romanzi Martina si sta anche pian piano facendo strada come scrittrice nel panorama nazionale a suon di concorsi letterari vinti.
La sua insomma è una di quelle bellissime storie che amiamo raccontare. Le diamo quindi il benvenuto nel team de L’Eco, dove nei prossimi mesi scriverà di bambini e diritti umani.
Federico Pozzer
Cari lettori dell’Eco Vicentino, nuovi, ma spero già affezionati, quando la redazione mi ha chiesto di scrivere un pezzo sulla mia esperienza in Nicaragua, ho accolto l’invito con grande piacere, ma anche chiedendomi come avrei potuto legare una terra tanto lontana alle contrade tra Schio e Torrebelvicino in cui sono cresciuti i miei nonni materni.
Poi ho pensato alla mia grande famiglia interamericana, a mio zio, che anche se è emigrato in Brasile da più di sessant’anni continua a considerare la polenta il piatto più buono del mondo e a quelle lettere in cui la zia dall’Australia racconta di quando, prima di sposarsi, lavorava al Lanificio Rossi. Ho iniziato a ricordare e le immagini della loro dignitosa e difficile vita lontano da casa, si sono sovrapposte ai volti delle persone che ho conosciuto durante il mio ultimo viaggio in Nicaragua, nell’agosto 2016.
E così mi è venuta in mente Heidy, che tutte le sere prepara un piatto di riso e fagioli per otto persone, rassetta la cucina e, guidata dal canto delle cicale e dall’esile fascio di luce della torcia attraversa i campi, fino a raggiungere la casa dove lavora come babysitter; Maycol, che si alza prima del sorgere del sole per preparare le tortillas da vendere al mercato e Nereida, che come il padre e il nonno prima di lei, deve mungere la mucca e nutrire il maiale. Vite dure, autentiche, scandite dai ritmi della natura. Vite di una volta, a cui la crisi ci sta facendo tornare. Vite che, se vissute in un Paese in via sviluppo, sembrano oltremodo dignitose e fortunate. Vite che, quando le vedi scorrerti davanti, vorresti saltare sul primo aereo, perché il dettaglio finora omesso è che non stiamo parlando di contadini con il viso segnato dal sole né di madri di famiglia sformate dalle tante gravidanze, ma di bambini. Heidy infatti ha otto anni, Maycol sette e Nereida sei e mezzo. E io lo so che anche in Italia di problemi ne abbiamo tanti, però forse lunedì quando i nostri figli, i nostri nipoti, i piccoletti che più amiamo o quelli che abbiamo incrociato solo di sfuggita mentre andavano al campetto dell’oratorio a giocare a calcio, cominceranno la scuola, forse dovremmo fermarci un secondo a riflettere sul fatto che quella cartella, quelle matite e quei quaderni che sono un prolungamento naturale del loro essere bambini, in altre parti del mondo rimangono un miraggio, un diritto negato che pesa come un macigno.
Certo, poter fare poco non autorizza a sedersi in un angolo piangenti senza più voglia di reagire, e qui entrano in scena i meravigliosi lettori del mio romanzo Il quaderno del destino, che mi stanno sostenendo tramite l’acquisto del libro, nel mio progetto “Un libro per una biblioteca”, volto a fornire materiali didattici, come lavagne, sussidiari e quaderni ai bambini e ai ragazzi del Nicaragua rurale, affinché possano continuare a studiare e a lottare per realizzare i loro sogni.
Cosa facciamo in concreto? Parliamo con i genitori o se non ci sono con i fratelli, con gli zii, con i padrini, dei bambini come Heidy e Maycol e chiediamo di diminuirgli la mole di lavoro, affinché, pur continuando ad aiutare nei lavori domestici, possano iscriversi a scuola. Se ci dicono di sì, abbracciamo forte i futuri scolari, li dotiamo di un kit per l’igiene personale e ogni giorno alle 12.30, li passiamo a prendere alla fine delle lezioni e li portiamo al Centro Ubaldo Gervasoni di Waslala, dove garantiamo loro un pasto caldo e il sostegno didattico di cui hanno bisogno. Poi, quando tramonta il sole, dopo la merenda e la ricreazione, li carichiamo di nuovo nel cassone del pickup e li riportiamo a casa, dalle loro famiglie.
Se ci dicono di no, invece, abbracciamo forte il bambino o la bambina e promettiamo che torneremo a trovarlo.
E per i ragazzini come Nereida, che vivono nei campi, a due ore di cammino da scuole multigrado, con il pavimento sterrato, trenta quaranta alunni dalla prima elementare alla seconda media e una sola maestra?
Bè, diciamo che in questo caso convinciamo anche il papà o la mamma a iscriversi a scuola con i figli, affinché imparino a leggere, scrivere, far di conto e migliorare le condizioni igieniche della casa e la produttività dei campi. Li incoraggiamo inoltre a coltivare un piccolo orto dietro casa, affinché abbiamo sempre verdure fresche, da consumare o da vendere al mercato.
Perché lo faccio? Perché credo nell’effetto farfalla, ovvero in quella teoria secondo cui il semplice battito d’ali di una farfalla in un punto imprecisato del globo, può provocare un maremoto in un’altra. Lo faccio perché ho scoperto che ci credono anche gli indios, che tra un raccolto di caffè e un anno di siccità, affermano che è solo goccia dopo goccia che si perfora la roccia.
Lo faccio perché da nipote di emigranti, credo che il regalo più prezioso che un adulto può fare a un bambino, sia quello di garantirgli il diritto all’istruzione e di aiutarlo a crescere libero, nella terra che l’ha visto nascere e che sicuramente, quando sarà grande, contribuirà a migliorare, dal basso, in maniera lenta, ma costante e produttiva. Lo faccio e sono molto felice di avere l’opportunità di raccontarlo a voi vicentini, perché so che, più di altri, potete capirmi!
Martina Dei Cas