Quale prezzo ha la libertà di una donna?
Luogo pubblico, ore 10 di un sabato mattina qualsiasi, alquanto fresco (dunque pantaloni lunghi, t-shirt e giacca). Mi stavo facendo gli affari miei e raggiungendo la mia auto, quando un uomo si avvicina con alcuni complimenti decisamente inutili e non cercati. Il suo fare agitato mi ha suggerito di ringraziare educatamente senza fermarmi e proseguire. Non soddisfatto e affatto arreso, mi ha palpeggiata in più parti. Ho inveito contro di lui per attirare la gente sul posto. Con la descrizione degli eventi può bastare.
“La prossima volta tira un pugno” (beh sì effettivamente colpire qualcuno senza sapere se possiede un coltello o è cintura nera di karate è una mossa intelligente..che poi, se lo ferisco, è aggressione).
“Impara a difenderti” (sì difatti non c’è soluzione alternativa dato che chiedere alle persone di limitarsi e controllare gli ormoni è eccessivo).
“Hai la calamita” (ovviamente è colpa mia).
“Vabbè dai non ha fatto nulla di che” (certo, il mio corpo è disponibile e non ha diritti, chiunque può toccarmi).
“Ma una denuncia è esagerata” (se non si denunciano queste cose, come pensiamo di crescere?).
“Magari aveva una giornata storta” (me lo segno e alla prossima mia giornata storta, vado ad invadere un po’ di spazio altrui).
Sono alcune delle frasi che ho sentito, fortunatamente da un ristretto numero di persone.. Ma tutto ciò è nulla, se lo si confronta con i fatti di cronaca. Bambine di 11 anni alle quali viene negato l’aborto in seguito ad una violenza, madri che tengono ferma la figlia mentre il patrigno la violenta, figlie omosessuali rieducate sessualmente dal padre, stupri di gruppo… E questo solo nel giro di una manciata di giorni. Beh no, non solo questo. C’è molto altro. Che non viene riportato sui giornali, che non viene denunciato dalle vittime, che viene messo a tacere.
Come se non bastasse la violenza carnale, ora con l’avvento dei social e della messaggistica facilitata, è comparsa un’altra preoccupante modalità di abuso: il “revenge porn”, ossia la condivisione pubblica di immagini o video intimi senza il consenso del/della protagonista (solitamente per vendetta). Recentemente ho letto a fatica un articolo che riportava alcuni dati su questo argomento. Vi erano riportate alcune conversazioni (difficili da leggere, almeno per me) nelle quali oltre ai commenti, comparivano immagini, indirizzi e nomi delle vittime. Negli ultimi tempi, poi, mi sono ritrovata a leggere un pezzo su un’invenzione a supporto delle donne: la “cannuccia antistupro” o “smart straw”, che si colora d’azzurro se nella bevanda rileva sostanze stupefacenti.
Ricapitolando:io donna, non posso uscire di casa senza temere per la mia sicurezza, non posso bere pacificamente neppure se bado con attenzione al mio bicchiere, non posso avere fiducia in nessun uomo/ragazzo, sia esso sconosciuto o famigliare, non posso mandare mezza foto ad un fidanzato, non posso permettermi mezzo drink alcolico in sicurezza. E aggiungiamo anche che non posso vestirmi come preferisco, non posso intrattenere conversazioni disinteressate e via dicendo. Tra un po’ noi donne ci saluteremo per strada e ci diremo “ma come, tu non sei mai stata violentata?” anziché avere lo stupore dovuto da una violenza avvenuta.
Mi sembra che nessuno faccia alcunché per prevenire. Si cura soltanto. O, per meglio dire, si tamponano le ferite come si può. Curare è impossibile, e purtroppo questo non è chiaro ancora. L’unica soluzione attuata finora: insegnare alle donne a denunciare o difendersi o superare il trauma. Per carità, tutto più che necessario.. Ma alquanto insufficiente.
Gli effetti di uno stupro o violenza sulla vita e sul futuro di una persona, chiunque essa sia, sono inimmaginabilmente gravi, irrimediabili e devastanti. Chiunque compia tali atti deve essere punito, almeno proporzionalmente al danno causato (e non ci sono traumi lievi quando si tratta di violenza). Chiunque abbia armi per limitare il dilagarsi indisturbato di questi episodi, deve usarle. Chiunque accetti, copra, collabori al silenzio, mitighi, sminuisca, banalizzi questi scempi, deve essere punito.
Un gran limite lo costituiscono le forze dell’ ordine o comunque la legge e chi la applica, rendendo difficile la possibilità di riscattarsi o tutelarsi a seguito di una denuncia che il più delle volte non trova appoggio e finisce nel dimenticatoio. Già ai primi passi, è facile sentirsi non appoggiati neppure da chi dovrebbe quantomeno accogliere se non spingere verso una rivendicazione dei diritti e della persona. Come se non bastasse, nel momento in cui si dà inizio ad un processo, i dati del querelante vengono comunicati al querelato, e dunque il rischio di rivalsa o vendetta è alto. Se poi si da un’occhiata alle sentenze riguardanti le violenze, si può capire facilmente che le scusanti e attenuanti che i giudici concedono sfiorano a dir poco l’assurdo. Una indossava un jeans, non può essere stata violenza, troppo complicato. Una era ubriaca, non ha detto no (capitolo a parte quello del no, dato che a volte le vittime non lo riescono neppure a pronunciare talmente forte è il trauma in corso). L’altra era troppo brutta per aver innescato una violenza. Sicuramente ci sono sentenze a favore delle vittime, ma è sufficiente una sola banalizzazione per spegnere la fiducia nella legge e far desistere dal richiedere aiuto.
Io non sono nessuno. Non posso granché. Come al solito ho solo un pc, e qualche possibilità d’essere letta. Ammetto che scrivendo questo, rileggendo e sistemando, ho provato paura. Perché? Semplice: non mi fido dell’umanità. Ho paura delle possibili conseguenze, della cattiveria là fuori, della mancanza di controllo, dei giudizi. Ed è in questa paura, che infondo mi rende debole, che la cattiveria, la mancanza di rispetto e l’inumanità vincono. Però è grazie a questo scritto, pubblicato nonostante queste preoccupazioni, che mi sento di aver abbassato il livello di rabbia che ultimamente mi perseguitava ad ogni nuovo fatto di cronaca.