Spettacolando – “Anonimasequestri” al teatro Astra, la comicità come maschera del trauma

Tra il serio e il faceto, con quell’ironia agrodolce in piena sarditudine, “Anonimasequestri” cattura il pubblico del teatro Astra e chiude la Rassegna Terrestri, anche quest’anno fonte di ispirazioni. Leonardo Tomasi, autore e regista di questo progetto follemente serio, orchestra un’esperienza scenica che attraversa generi, stili e nervi scoperti.

Lo spettacolo si apre come una commedia dai toni grotteschi: una situazione ambigua, talmente paradossale da sembrare quasi realistica dove il sequestro – la sua organizzazione con tanto di casting – diventa il campo da gioco su cui Tomasi sviluppa il suo discorso teatrale. I personaggi, a metà tra vittime, carnefici e comparse tragicomiche della propria esistenza, si muovono in una scenografia essenziale, ma densa di significato. Ogni elemento scenico, ogni oggetto – anche il più banale – è una possibilità narrativa: un simbolo, una trappola, una battuta.

Tomasi sfrutta la situazione estrema del sequestro per esplorare in profondità il tema dell’identità e del controllo. Chi siamo, quando veniamo spogliati di ogni contesto, quando qualcuno decide per noi cosa possiamo o non possiamo fare? Il sequestro diventa così una metafora potente della condizione umana nel mondo contemporaneo: confinati, incasellati, obbligati a recitare ruoli non scelti. Il tutto però, senza mai scivolare nel didascalico o nel moralistico. Al contrario, ANONIMASEQUESTRI sceglie l’arma della comicità per colpire più a fondo: le risate scaturiscono sì da battute ben scritte e da tempi comici impeccabili, ma nascondono e svelano riflessioni amare e spiazzanti.

Il cast si muove con un gioco continuo di immagini registrate (e in presa diretta) mescolate e proiettate sullo schermo, che s’incrociano con i dialoghi sul palco. Il teatro dell’assurdo si mescola con la storia del teatro, della Sardegna e della vita stessa, alternando luoghi comuni a debolezze di una società in fuga che continua a inseguirsi finendo per inevitabilmente per perdersi.

Da sottolineare è anche il ritmo dello spettacolo, che riesce a mantenere alta l’attenzione dello spettatore senza mai cadere nella ripetizione. Tomasi gioca con le aspettative del pubblico, ribaltandole quando meno te lo aspetti. E anche quando credi di aver capito il meccanismo, lui lo smonta, lo prende in giro e poi ti invita a guardarlo con occhi nuovi. Il sequestro, a quel punto, non è più soltanto l’azione scenica, ma diventa anche l’esperienza dello spettatore: sequestrato a sua volta dentro un pensiero, dentro un’emozione, dentro una domanda che resterà lì, a frullare anche dopo l’applauso finale.

Paolo Tedeschi

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