Spettacolando – Calcutta, brividi nel Castello Scaligero

Sabato 13 luglio Calcutta regala emozioni e versi nella splendida cornice del Castello Scaligero di Villafranca: è uno tripudio pop o siamo di fronte a un cantautore coi fiocchi?

Ogni epoca ha i suoi poeti e i confronti non possono essere fatti: De Andrè o Rino Gaetano, se fossero nati negli anni ’90, che canzoni avrebbero scritto?

Poeta è chi raggiunge le anime e scalda i cuori; chi racconta il proprio tempo, trafigge vita, dolore, amore, felicità e assenza. Poeta è chi individua domande e a volte dà risposte. Chi di fronte a due capsule di tachipirina 500 non si è chiesto cosa succede prendendone due? Diventa mille, ecco cosa succede e il poeta ce lo grida prendendosi responsabilità di fronte al mondo intero.

Lo abbiamo sempre sospettato e ne eravamo quasi certi; ma tale era la banalità della domanda che di rado abbiamo avuto il coraggio di confidarci tenendoci dentro il peso del dilemma, che anno dopo anno diventava macigno. Abbiamo assunto due compresse da 500 con la febbre alta, ma in quei momenti sei poco lucido: quindi prendi un bicchier d’acqua, butti giù e speri.  Anche con la febbre che poi scendeva, però, la domanda latente rimaneva: e se avessi preso una pastiglia da 1000? La febbre sarebbe passata più velocemente? O di qualche grado in più?

Il poeta Calcutta si racconta senza pudore e si confida sapendo di poter essere giudicato, soprattutto da chi lo conosce: ma lui va dritto per la sua strada. Il poeta Calcutta è coraggioso quando si chiede: cosa mi manchi a fare,  tu, ragazza che mi hai strappato il cuore, che sei lontana e di me probabilmente non ti frega nulla. Per poi ammettere che avrebbe solo desiderato scomparire in un abbraccio.

Il poeta Calcutta perde un numero di telefono solo per poterlo dire a quella persona, ammettendo che l’anno è stato uno schifo.

Nella noia della sera minaccia gli amici di tornare a casa  – e non sa di chi – per guardare un film, uno di quelli importanti tipo l’ultimo dei Mohicani, di un regista di cui non ricorda il nome.

Fa una svastica in centro a Bologna, ma solo per litigare. Ovvero per gridare al mondo, guardami, io ci sono e sono qui.

Confessa che per la prima volta è andato a letto con una di destra e lascia intendere che è stato amore; con lo stupore di chi realizza che anche loro hanno dei sentimenti.

Confessa l’ansia di doversi divertire anche quando non ne ha voglia, anche se preferirebbe stare da solo perché teme di non poter ricevere abbastanza abbracci da poterlo aiutare a respirare di nuovo.

Il poeta Calcutta svela il malessere di generazioni di privilegiati che vivono con frustrazione le opportunità che i loro genitori neppure si sognavano: e ne soffrono la pressione. Lo fa con ironia, dolcezza e discrezione, e  con affetto tra una canzone e l’altra ogni tanto fa una pausa per chiedere al pubblico se si sta divertendo e confessare che la felicità sua e della sua band passa attraverso il pubblico. Alla terza volta che lo chiede, con lo sguardo basso e senza aizzare il pubblico come le rockstar, capisci che lo sta chiedendo davvero e non lo fa per ruffianeria.

 

Calcutta inizia a suonare all’orario prestabilito e il concerto finisce senza i finti bis che tutti mettono in scaletta, facendo finta di andar via per tornare e strappare un finto applauso. Ecco, lui no.

Per provare a vivere la realtà e non il parallelo distopico nel quale mille algoritmi ci stanno frullando, si può partire da qui. Grazie Calcutta per essere il poeta romantico che stavamo aspettando e di cui avevamo bisogno. L’affetto che ricevi in ogni tuo concerto sold out è sincero e non stupisce più nessuno.

Paolo Tedeschi