Spettacolando – Vicenza Jazz è stato un successo anche quest’anno
Via gli alpini e dentro il jazz: è stato un maggio di festa senza sosta a Vicenza. Da trent’anni la città è un vero e proprio riferimenti per un genere musicale che non ha più confini, tanto da rispedire al mittente l’annosa domanda che ogni tanto qualcuno ancora si fa: ma questo sarebbe un concerto jazz?
Un sogno lungo ottantotto tasti, è stato il tema della rassegna che ha omaggiato i grandi della tastiera. Lo ha ricordato Riccardo Brazzale al concerto di apertura al Teatro Olimpico, quasi commosso al pensiero del cinquantesimo anniversario dalla scomparsa di Duke Ellington (maggio del 1974). Sono invece cento gli anni che si contano dalla nascita di Bud Powell; quindi sì, il piano è stato lo strumento simbolo di questo Vicenza Jazz.
Craig Taborn ha dato il via nella meravigliosa cornice del teatro Olimpico, introducendoci nella settimana e deliziandoci con suoni precisi e puliti.
Il Paquito D’Rivera Quintet, sempre all’Olimpico, ci ha intrattenuti oltre che entusiasmati: lui è un vero animale da palcoscenico che porta il pubblico dove vuole e quando vuole, con discrezione e ironia.
Passando per il ridotto del comunale Chico Freeman & Antonio Faraò Quartet feat. Alex Sipiagin ci hanno preparato al cambio di ritmo, consacrato da Uri Caine, e per lui è stato un grandissimo ritorno.
Avvicinandosi al fine settimana tutti pronti per il concerto più atteso, sempre lui, il super gettonato Fresu. Accompagnato dal pianista cubano Omar Sosa, nomade per sentimento, che ha dialogato anche con la splendida Marialy Pacheco, giovane anima jazz, elegante e sinuosa, non ha deluso le attese.
Il finale è segnato dal ritmo e la verve di Trilok Gurtu e Dhafer Youssef & Eivind Aarset e a seguire il concerto di chiusura domenicale con Bill Frisell Trio.
E’ stato un festival delle sale, e non delle strade, di ascolto e non d’intrattenimento, passando per il concerto al cimitero di mezzanotte con Pietro Vacca e un omaggio di Sade Mangiaracina a “Futura” di Lucio Dalla.
Non è mancata la pioggia né gli appuntamenti fissi al Borsa, un fuori programma (ufficiale) che però è trave portante dell’anima jazz vicentina.
In questi anni è cambiato il pubblico e il modo di ascoltare: il jazz è sempre lui, quello che cambia è il modo in cui ci avviciniamo, e ci nutriamo l’uno dell’altro. Un grazie a chi ci mette la faccia, a chi sceglie gli i musicisti, agli sponsor naturalmente, ma soprattutto a chi lavora dietro le quinte per fa sì che l’organizzazione funzioni.
Paolo Tedeschi