“Tu l’hai già mangiata la minestrina?”. Racconto dalla Trans d’Havet
E’ andata in archivio nello scorso weekend anche la sesta edizione della Trans D’Havet. Trionfo vicentino per Pizzinini tra gli uomini e Pretto fra le donne nella gara di 80 chilometri. Podio completato al maschile da Miotto e Di Giacomo, al femminile da Boschetto e dalle sorelle Boifava. Nella versione Marathon trionfa il trentino Miori, davanti a Lorenzi e Cocco, con un ex-aequo tra le donne con Giulia Vinco e Giulia Gallo. Terza Kristina Aluzaite.
A raccontarci in prima persona l’esperienza di questa devastante gara torna il nostro coraggioso blogger El Gae.
“Tu l’hai già mangiata la minestrina?”
La signora me lo chiede con quel garbo misto a rimprovero tipico delle madri; solo che non è mia madre ma una delle volontarie che al ristoro di Pian delle Fugazze assistono i trail runner che scendono dal rifugio Papa, dopo quaranta km affrontati di notte.
Sono sfatto, i bastoncini appoggiati al palo del gazebo, la maglia sporca appallottolata alla bell’e meglio nello zaino che ora fatica a chiudersi e le gambe che non rispondono ai comandi, non ai miei, per lo meno.
C’ero anche io venerdì sera a Piovene Rocchette tra i 350 partenti della sesta edizione della Trans D’Havet e non ci sarò, purtroppo, tra gli irriducibili che tra le 10 e le 23 di sabato sono arrivati a Valdagno, completando così in “soli” 80 km il periplo completo delle Piccole Dolomiti, fermato da un fisico che, a differenza dello scorso anno, proprio non ne ha voluto sapere di proseguire oltre metà della gara.
Eppure lì, al Pian delle Fugazze, nell’ora di attesa che divide il mio claudicante arrivo fino alla partenza della navetta che mi deve riportare a Valdagno, riesco ad apprezzare una cosa che non avevo mai notato nelle due partecipazioni precedenti: tutto quello che gira attorno alla corsa si diverte tanto quanto chi corre.
E’ lì che capisco le persone che incitano per le strada di Piovene, le signore di una certa età che su all’Angelo, ancora in piedi all’una di notte, sono lì ad aspettare gli ultimi e gridare “dai, bravissimi” anche se siamo in fondo al gruppo e anche se siamo appena partiti e di bravura, fino a quel momento, ce n’è voluta davvero poca. E lì trovo il senso degli alpini, uno anche con la moglie, che sulle Creste del Summano fanno luce con la pila nei passaggi più difficili, che la festa non venga rovinata da un qualsiasi infortunio. E poi su, in Busa Novegno, dove alle quattro di mattina ci sono due bimbi che avranno l’età dei miei, sette, otto anni, e quel che possono danno una mano versando coca cola e passando fette di crostata. E non penso “che pazzi i loro genitori”, no, perché a questi bambini stanno insegnando una delle cose più importanti: il servizio reso come se fosse una festa.
Per non parlare dei tanti punti di pronto soccorso, sempre pronti alla battuta e con l’occhio attento a valutare le gambe di qualche bella concorrente, se altro di più serio, per fortuna, non c’è da fare. Perfino sul Monte Alba, così poco affascinante e scarsamente evocativo, c’è qualcuno che incita ed indica la via, mentre fa colazione a rosso e soppressa sul bagagliaio di una Panda. E poi nelle 52 gallerie, a lasciarsi baciare da un sole appena sorto c’è il soccorso alpino, quelli con l’attrezzatura che solo a vederla ti vien da dire “occhio tosi, che qui se cadete sono cavoli amari”.
La Trans D’Havet è questa, una moltitudine di persone che si passa la notte in bianco per la sola voglia di esserne parte, per condividere del tempo con gli amici, per dar di gomito al compare quando passa una bella ragazza, per il gossip con la comare mentre si aspetta sotto al tendone del ristoro senza mai venir meno all’incitamento, al saluto e all’efficienza della mansione svolta.
E senza mai far confronti tra i primi e gli ultimi e senza mai mostrar uno sguardo che ti faccia intuire che di te pensano che sei una mezza sega, che quelli forti son passati cinque ore fa e che tu potevi anche startene a casa. Per loro siamo tutti forti e chi si ferma è semplicemente qualcuno che ci potrà riprovare l’anno prossimo.
“Signora, la minestra è buonissima”
“Grazie giovanotto, el se senta che nol ga mia na bea siera, ghin vorlo ancora?”