Un vicentino sulle orme di Marco Polo – #8 Grandi masse rosse

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Sembra fatta con i lego questa parte della Città Proibita - Pechino (foto Daniele Binaghi)

Terminato il primo tour della Via Della Seta (dal Kirghizistan all’Uzbekistan, per 22 giorni), sono volato da Tashkent a Pechino, passando dalla capitale del Kazakistan, Astana (con l’accento sulla prima “A”, mi raccomando!).

Le prime ore, lo ammetto, le ho trascorse tirando il fiato, oltre a terminare tutte la documentazione che, come ogni operatore turistico che si rispetti, Wild Frontiers richiede dopo un tour: una massa di informazioni sulla contabilità, su ristoranti ed hotel e mezzi di trasporto usati, commenti sulle guide e sui viaggiatori… Al termine ho solo chiuso gli occhi ed ho dormito… Dormito… Dormito (l’arretrato che uno non accumula, durante un tour!). Poi, però, la voglia di esplorare ha prevalso; fuori, dopo tutto, c’era Pechino, la grande capitale di una grande nazione, quanto meno per dimensioni. E allora recupero una mappa, cerco di capire dove mi trovo, e via a camminare per le strade.

La prima cosa a cui fai attenzione sono i veicoli della “morte silenziosa”, ovvero l’incredibile quantità di motorette elettriche che ti arrivano da tutte le parti e tu non le senti, e neppure le vedi bene perché – per risparmiare sulla batteria – tengono tutti immancabilmente i fari spenti (Lucio Battisti sarebbe contento, gli ospedali un po’ meno). Evitata una fine ingloriosa, cerchi dei punti di riferimento, perché tutto è scritto in caratteri cinesi – strano, vero?! – e tu avresti piacere di riuscire a ritornare, prima o poi; ma dopo un po’ cominci a riconoscere gli edifici, e cammini in mezzo alle folle.

Ve l’avevano mai detto che la Cina ha una popolazione enorme? Ecco, se qualcuno avesse ancora qualche dubbio, gli basterebbe camminare per 5 minuti per Pechino. Il Carnevale di Venezia, in confronto, sembra una festicciola per pochi intimi. C’è gente dappertutto. Che si muove, che si ferma, che mangia (e davvero mangiano cose ben strane, come degli spiedini di scorpioni, sui quali gli scorpioni peraltro ancora si muovono). Sembra un formicaio, e tu ti senti una goccia d’acqua in un enorme oceano.

Arrivo fino alla Città Proibita, che tutti da noi si ricordano più per il film “L’ultimo imperatore” che per i libri di storia (non siamo per niente bravi, in Italia, a studiare la storia dei popoli lontani da noi; ed è una pecca che, alla lunga, non ci avvantaggia); giro intorno alle sue lunghe mura, ché la visiterò all’interno con il nuovo gruppo in arrivo l’indomani, e mi colpiscono la pulizia, l’ordine, il cielo terso… un momento, ho detto cielo terso? Ma come è possibile, se tutti dicono che l’inquinamento a Pechino non ti fa vedere il cielo per settimane di fila? Beh, una spiegazione c’è, e ne avrò conferma nei giorni successivi: nelle settimane seguenti ci sarebbe stata l’assemblea del Partito Comunista, il momento politico forse più importante di tutto il quinquennio, con migliaia di delegati e giornalisti da tutto il mondo; niente di strano che i cinesi abbiano quindi deciso di fare bella figura, e gira voce che siano intervenuti per ridurre le emissioni nell’atmosfera almeno per questo periodo. Che sia così, o che un vento benigno mi abbia accolto, il risultato è lì, davanti ai miei occhi, nel suo brillare, e me lo godo.

A pochi passi di distanza c’è la piazza Tienanmen, una delle più grandi al mondo (è sesta, secondo Wikipedia), nota per due eventi storici molto importanti: la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese e del nuovo corso da parte di Mao Tse-tung, il 1° ottobre del 1949, e per le proteste di studenti, intellettuali ed operai che chiedevano riforme e aumento delle libertà e che, tra il 3 ed il 4 giugno 1989, furono represse nel sangue da parte dell’esercito con stime che arrivano fino a 2500 morti (giusto per rendere onore al nome della piazza, che significa “Porta della Pace Celeste”).

La piazza è viva, è un brulicare di cinesi che la percorrono, l’ammirano, si fanno i selfie davanti all’enorme vaso di frutta che sta a celebrare la prossima festività nazionale; bambini giocano, anziani camminano lenti e si fermano a scattare foto con vecchie macchine fotografiche, venditori ambulanti cercano di convincerti a comprare un paio di pattini da applicare semplicemente sotto le scarpe o cartoccetti di dolciumi. Le fanno da sfondo i palazzi del partito e, soprattutto, la grande immagine di Mao, che guarda benigno la piazza e la grande bandiera rossa con le cinque stelle gialle. Bandiera che, ad un certo punto, viene ammainata, con grande presenza di militari in sfolgoranti uniformi e civili curiosi che si assiepano per assistere a questo momento che, costantemente, si ripete ogni giorno al tramonto. Poi, finita la festa, la polizia ed i membri del partito – riconoscibili dalla fascia rossa che portano al braccio – provvedono a allontanare le persone dalla piazza, con modi decisi e persino bruschi.

Eccola, finalmente, la vera Cina: bellezza ed eleganza millenarie, ma totale controllo della situazione, ché nessuno vuole che si ripetano quelle proteste del 1989, specie ora che il congresso è alle porte. Giusto? Sbagliato? Non so, quando hai una popolazione di un miliardo e mezzo di persone, forse non sempre le buone maniere ed i guanti bianchi possono bastare. Scoprirò nei prossimi giorni se ne vale davvero la pena.

 

Daniele Binaghi (pecorelettriche.it)

 

Le altre puntate:

#1 Da Venezia al Kirghizistan

#2 Lo yurt, questo sconosciuto

#3 Dove riposavano le carovane

#4 La vecchia nuova Kashgar

#5 L’ultimo, povero Khan

#6 Divertirsi sulle Fan Mountain

#7 Non è poi così lontana Samarcanda