CineMachine | Una storia vera

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REGIA: David Lynch ● CAST: Richard Farnsworth, Sissy Spacek, Jane Galloway Heitz, Joseph A. Carpenter, Donald Wiegert, Tracey Maloney, Dan Flannery, Ed Grennan, Jack Walsh, Gil Pearson, Barbara June Patterson, Everett McGill, James Cada, Sally Wingert, Barbara Kingsley, Jim Haun, Kevin Farley, John Farley, Leroy Swadley, Ralph Feldhacker, Harry Dean Stanton, Anastasia Webb, John Lordan, Matt Guidry, Wiley Harker ● GENERE: drammatico, biografico ● DURATA: 112 minuti ● DATA DI USCITA: 11 febbraio 2000 (Italia)

“HAI FATTO TANTA STRADA SU QUEL COSO PER VENIRE DA ME?”

Una storia vera del 1999 per la regia di David Lynch.

Storia: Alvin Straight, un veterano settantatreenne che vive con la figlia a Laurens, nell’Iowa, un giorno riceve la notizia che il fratello Lyle, che non vede da ormai dieci anni, ha avuto un infarto. Vecchi rancori vengono accantonati e Alvin decide di mettersi subito in viaggio per raggiungere il fratello, seppur egli non possa guidare e non si lasci accompagnare da nessuno. Ciononostante si metterà alla guida di un vecchio tosaerba con rimorchio ed il suo sarà un viaggio lungo dove diversi saranno gli incontri e le storie.

Dopo The Elephant Man, rimaniamo su un autore che amo fin dal primo suo capolavoro Eraserhead – La mente che cancella (1982) di cui, prima o poi, mi cimenterò a farne una recensione.

David Lynch dopo Strade Perdute (1997), altro capolavoro del regista, si lascia momentaneamente alle spalle l’aurea di mistero e di imperscrutabilità, per dedicarsi ad un lavoro più canonico, ma dove la sensibilità e la dolcezza di Lynch emerge pienamente, con una storia che ha la capacità di intrattenere e di commuovere il grande pubblico, senza cadere nel melenso o nella noia.

Di fatto la narrazione che accompagna tutto il film ha dei tempi alquanto dilatati, seppur il montaggio aiuti ad accelerare il ritmo narrativo, ma ciò che più di ogni altra cosa mantiene viva l’attenzione dello spettatore è la storia quasi surreale, se non fosse per il fatto che essa è ispirata a fatti realmente accaduti, di questo uomo che decide di farsi più di quattrocento chilometri su di un tosaerba per andare a trovare il fratello malato.

Ordunque la storia di base è molto semplice e questo viaggio si rivela essere la perfetta allegoria di una vita che colpisce molto forte in molti momenti dell’esistenza, ma che è tutto sommato un’esperienza da vivere con coraggio e, diciamo, spirito di adattamento, il quale si collega a sua volta ad una caratteristica umana al regista molto cara, ovvero l’immaginazione.

Tutto questo lo si può vedere nel personaggio di Alvin che, indubbiamente scosso dalla notizia del fratello, si ingegna come può per mettersi al più presto su di una strada che diventa metaforicamente la strada della redenzione e come diceva Primo Mazzolari: “La redenzione non ha né surrogati né mezze vie”. Per questo Alvin decide, ammettendo la sua testardaggine, di non farsi accompagnare da nessuno, ma di compiere questo viaggio da solo, con tutti le difficoltà fisiche dovuti alla sua anziana età e con i poveri mezzi a sua disposizione.

Questo ci porta ad ulteriore passaggio, ovvero quello del tempo che in questo film diventa, piuttosto che uno spazio da riempire, qualcosa che si crea man mano che gli eventi si materializzano. Saranno di fatto gli incontri che Alvin farà nel corso della storia, il centro gravitazionale emotivo di tutto il racconto, con personaggi a cui Alvin darà una mano, attraverso la sua storia che man mano andremo a scoprire.

Non vi voglio raccontare di più, in quanto il film è assolutamente da non perdere. Le musiche di Angelo Badalamenti, storico collaboratore di Lynch, sono un qualcosa di meraviglioso che riesce ad elevare delle scene che già di per se stesse sono perfette, con una fotografia splendida che mette in risalto una campagna sconfinata che dilata ancora di più la cognizione filmica dello spazio e del tempo in cui vivono i personaggi.

Straordinaria l’interpretazione di Richard Farnsworth nel ruolo di Alvin che è voluto tornare sulla scena proprio per interpretare questo ruolo e strabiliante Sissy Spacek nel ruolo della figlia ritardata, ma che in realtà si scopre essere un personaggio talmente profondo e di una sensibilità talmente potente che lascia partire il padre in un viaggio apparentemente folle, non per negligenza, ma perché capisce il bisogno profondo del padre di fare questo viaggio a modo suo. E poi tutti gli altri personaggi di contorno, così veri e stupendi nella loro semplicità, tra cui un Harry Dean Stanton che negli ultimi istanti di film, con uno solo sguardo, fa crollare il palco portandoci ad uno dei momenti più commoventi che il cinema abbia mai visto.

Un film che sembrerebbe non centrare nulla con la poetica lynchiana, ma che in realtà contiene molto del suo cinema, della sua ironia e della sua bontà. Un film tenero e sentito, pieno di bravi attori e dove i temi dell’amore fraterno e del perdono sono trattati meravigliosamente. E per concludere con una citazione di Dostoevskij: “L’amore è un tesoro così inestimabile che con esso puoi redimere tutto il mondo e riscattare non solo i tuoi peccati ma anche i peccati degli altri.” Queste le parole che mi hanno accompagnato alla fine del viaggio, dove con un gesto tanto folle, quanto incantevole, i due fratelli hanno trovato la pace.