Hulk di Ang Lee: quando la Marvel poteva permettersi di fare cinema
Il fenomeno mondiale ad oggi conosciuto con l’acronimo MCU (Marvel Cinematic Universe) è nato specificatamente nel 2008 con il film “Iron Man” di Jon Favreau ed ha voluto compiersi elogiando nella più classica drammaturgia cinematografica il personaggio di Tony Stark, diventando a tutti gli effetti uno dei personaggi più emblematici di codesto universo e del cinema moderno.
Molti però tendono a dimenticare le opere prime derivate dal genio di Stan Lee, ritenendole per lo più opere minori o comunque opere avulse dallo spirito attuale, ovvero quello puramente dilettevole, del franchise creato dal produttore Kevin Feige.
Non sto parlando solo di “Hulk” di Ang Lee che qui proverò modestamente ad analizzare, ma anche di altre pellicole nate nei primi anni Duemila, come la saga degli X-Men, nata dalla mano di Bryan Singer, o la saga di Spider-Man, portata magistralmente sulla scena da Sam Raimi.
Essendo nato a metà degli anni ‘90, ricordo che quando vidi per la prima volta questi personaggi sullo schermo, rimasi come tutti sbalordito dalle incredibili capacità di questi supereroi e non ci volle molto perché nascesse in me una certa dose di attenzione che poi sfociò in una vera e propria mania.
Tra tutti i film divorati e digeriti di questo magico universo, me ne voglio ricordare uno in particolare che forse oggi in pochi ricordano, ovvero il già citato “Hulk” di Ang Lee.
All’inizio degli anni ‘90, la casa di produzione Universal era interessata a produrre un film supereroistico incentrato su uno o più personaggi della famosa casa editrice, come aveva fatto in precedenza la 20th Century Fox con il film “X-Men” (2000) di Bryan Singer.
I due produttori Avi Arad e Gale Anne Hurd erano intenzionati a creare un film sul personaggio del “L’incredibile Hulk”, ma la storia produttiva non fu certamente delle più semplici. Continui cambi di sceneggiatura e di regia contribuirono a far slittare il progetto fino a marzo del 2002, periodo in cui iniziarono le riprese.
La scelta per la regia cadde su Ang Lee, regista taiwanese rinomato per essersi aggiudicato in passato diverse premiazioni per alcuni suoi film, tra cui il premio Oscar come miglior film straniero per “La tigre e il dragone” nel 2000. Ang Lee in circa sei mesi di riprese riesce a registrare tutto il materiale che gli occorre per arrivare alla post-produzione con gli effetti speciali che oggi vediamo e che sono stati curati dalla stessa industria che oggi crea gli effetti visivi per la MCU, oltre che per una liste infinita di altri film, tra cui la saga di “Star Wars”, ovvero la Industrial Light & Magic.
Per quanto la sceneggiatura non brilli in modo particolare, la regia di Ang Lee favorisce a creare un film d’azione unico nel suo genere che omaggia il fumetto, anche sotto l’aspetto visivo, e rimane fedele al suo personaggio, pur facendolo diventare qualcosa di necessariamente più accattivante sotto il profilo psicologico.
Se il Bruce Barner che vediamo oggi appare alquanto goffo e distratto, qui Barner si rivela essere un personaggio fortemente caratterizzato anche nella sua versione più distruttiva. L’idea di un “Dottor Jekyll e Mr Hyde” rimane, come d’origine, nel protagonista e Ang Lee riesce con un uso dinamico ed ispirato del montaggio a mostrare tutta la drammaticità di un personaggio avvilito. E seppur questa figura muti in una forma estremamente più potente e violenta, essa non smette comunque di mostrare questa sua fragilità. Un chiaro segnale che anche noi, nelle nostre “mutazioni”, continuiamo a vivere le nostre esperienze traumatiche, finché non decidiamo di affrontarle apertamente.
Inoltre è significativo il fatto che si sia optato nella narrazione per uno scontro con un’autorità militare piuttosto che sfociare nello classico scontro tra titani, dove una controparte malvagia si sarebbe potuta scontrare fisicamente con il protagonista.
Di fatto questa scelta identifica l’aspetto sociale de “L’incredibile Hulk”, ovvero quell’aspetto di collera verso l’autorità. Ricordiamo che il personaggio era nato negli ‘60 durante la sperimentazione atomica, ma soprattutto in un periodo di forte tensione sociale e culturale, dove il desiderio di ribellione e di rivalsa sociale erano decisamente molto forti.
Hulk qui rappresenta una forza indomabile che l’autorità non riesce a mettere ai ferri corti e nelle scene più action ce ne rendiamo conto perfettamente e ciò che lo rende ancora più memorabile, oltre alla sua plasticità fisica, è la misura della sua forza che, a differenza di tanti altri titoli che lo vedono partecipe dell’azione, qui rimane credibile, razionale e infinitamente sempre più distruttiva. Sembra di fatto che si sia persa quella concezione, più legata al fumetto, per cui la forza di Hulk è direttamente collegabile al suo livello di rabbia e ciò mi rammarica, in quanto nel nuovo universo i toni della forza di Hulk vengono alquanto smorzati a discapito di trame generalmente non così esaurienti come si può pensare.
Giunti al punto, “Hulk” di Ang Lee si rivela essere un gran film, dalle atmosfere suggestive, che gode di buone interpretazioni e di una narrazione concisa e concitata che si prende il tempo di approfondire i suoi personaggi senza rallentare il ritmo della narrazione o rendersi troppo melensa nelle parti drammatiche.
Una citazione d’onore anche all’incredibile colonna sonora composta dal grandissimo Danny Elfman che fa da impalcatura di sostegno all’intera storia e rende ancora più memorabile un titolo per molti dimenticabile, ma che personalmente reputo sottovalutato e tra i migliori cinecomic degli anni 2000.