I nuovi Oscar: la natura del cinema al bivio

Ascolta l'audio
...caricamento in corso...

Di Nicola Daniele


L’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences ha recentemente deciso di introdurre dei nuovi criteri inclusivi come requisito obbligatorio per poter accedere alla categoria “Best Picture” (miglior film) a partire dal 2024. La lista completa di questi nuovi criteri la si può trovare direttamente sul sito dell’
Academy.

I nuovi standard

In sostanza e semplificando un po’ si tratta di includere una percentuale rilevante (30% nella gran parte dei casi) di persone appartenenti a una o più delle seguenti categorie:
– Donne
– Gruppo etnico o razziale
– LGBTQ +
– Persone con disabilità cognitive o fisiche, non udenti o ipoudenti

In almeno due dei seguenti ambiti o “Standard”:

– Standard A: Rappresentazione sullo schermo, temi e narrative
– Standard B: Leadership creativa e Team di progetto
– Standard C: Accesso al settore e opportunità
– Standard D: Rappresentanza in marketing, pubblicità e distribuzione

C’è qualcosa di sbagliato in questa nuova trovata dell’Academy? Forse, anzi… Sì. 

E’ vero che questi criteri si riferiscono unicamente alla categoria miglior film e che la stragrande maggioranza dei passati vincitori di categoria vi sarebbe rientrata pienamente; è anche vero che i vostri occhi non vi ingannano e avete proprio letto miglior “Film” e non miglior “Opera di sensibilizzazione socio-culturale volta a fini umanitari”. Ne consegue che, a meno che l’Academy non cambi nome a sé stessa e alle proprie categorie premiate, questi nuovi criteri non abbiano alcun fondamento logico e vadano potenzialmente ad intaccare il grado di libertà e di purezza di un film. 

Pensate per esempio ad un regista che per rispettare i nuovi criteri si trovi a dover inserire un gruppo di donne nord-africane in un film ambientato interamente in un carcere maschile per crimini razziali. Decisamente e letteralmente fuori luogo. 

Oppure no? In questo caso probabilmente sì, ma potrebbero pure venire fuori delle dinamiche interessanti. Il punto è un altro però e se avete letto con attenzione fino a qui ve ne sarete già accorti: per rientrare nei criteri basta soddisfare DUE dei quattro ambiti/Standard. Ecco che il nostro regista alle prese con un carcere maschile inondato improvvisamente da estrogeni etnici può tranquillamente tornare al suo quieto agglomerato di puro testosterone ariano. Come? Assumendo 3-4 stagiste di qua (Standard C rispettato) e un paio di responsabili marketing donne o appartenenti a una minoranza etnica di là (Standard D rispettato). Oltre che in mille altri modi ancora da esplorare.

Ci troviamo dunque di fronte a Standard non solo formalmente sbagliati in quanto riguardanti tematiche che non dovrebbero influire direttamente sul film, ma anche ampiamente aggirabili. 

Il lato positivo

Quindi, perché questa novità?

Qualcosa di buono c’è. 

Innanzitutto, per quanto un film sia tecnicamente un insieme di immagini da guardare in successione una dopo l’altra al buio della sala cinematografica o del proprio salotto, non si può negare che la sua natura vada oltre il mero aspetto tecnico: può essere legittimamente considerato anche come oggetto culturale, sociale ed economico e in quanto tale può essere soggetto a criteri riguardanti i medesimi ambiti. 

Ammessa allora in linea teorica la liceità della recente scelta dell’Academy, il dibattito si dovrebbe spostare su quanta importanza rimanga al film in sé stesso e su quanto invece esso diventi veicolo e specchio di questioni meta-cinematografiche.

Il problema non è ovviamente la lotta alla discriminazione, ma che questa avvenga nel modo sbagliato; la vera nota positiva si rivela essere lo Standard C (accesso al settore e opportunità: garantire apprendistati e formazione su più livelli). Rispettare lo Standard C significa permettere ad esponenti delle categorie sotto-rappresentate di formarsi e di poter venire poi assunti non in quanto “minoranza”, ma in quanto validi professionisti. 

Meritocrazia in pieno stile America insomma. L’America dei film almeno.

All’Academy va in ogni caso il merito di portare avanti una nobile opera di inclusione e sensibilizzazione, sperando al contempo che il cinema rimanga sempre prima spettacolo e solo poi strumento sociale.

Anche se a ben guardare il bivio che porta all’inversione di marcia potremmo averlo già imboccato.