Lucky: l’ultima incredibile avventura di Harry Dean Stanton
Per quelli di voi che non conoscessero il personaggio dell’attore e caratterista Harry Dean Stanton, vi basti pensare che fu uno stretto collaboratore di grandi registi come Sam Peckinpah, John Milius, David Lynch e Monte Hellman e già dalle sue prime apparizioni in produzioni indipendenti tra le quali piacevolmente ricordo “1997: Fuga da New York” di John Carpenter, si poteva notare in lui un personaggio alquanto anomalo, né particolarmente attraente né tanto meno imponente, ma era il suo sguardo e il suo portamento a trasmettere un certo senso di tristezza velata da una certa dose di solennità.
Stanton riuscì ad approdare ad Hollywood, sembra anche grazie all’aiuto del suo celebre amico Jack Nicholson, che riuscì a scritturarlo per il film “Le colline blu”, sceneggiato dallo stesso Nicholson e diretto da Monte Hellman nel 1966.
Da lì in poi Stanton prese parte a film divenuti col tempo dei cult, se non dei veri e propri capolavori, quali Nick mano fredda, Il padrino – Parte II, Alien, Alba rossa, Bella in rosa e Il miglio verde.
Nel 2017, anno stesso in cui l’attore morì per cause naturali, usciva in sala “Lucky”, che oltre ad essere l’ultimo film interpretato da Stanton è anche l’esordio alla regia dell’attore statunitense John Caroll Lynch.
La storia di per sé è molto semplice: Lucky passa le sue giornate attraverso la sua solita routine. Si sveglia, fa degli esercizi di yoga, cammina fino al centro della sua cittadina, fa colazione, si esercita con i cruciverba, va a comprare il latte e le sigarette, insulta un qualcosa o qualcuno fuori campo e tira fino a sera in un bar dove incontra gli amici di una vita, tra cui Howard che ha smarrito la sua centenaria tartaruga di terra.
Un film che pochi hanno capito e che in molti hanno apprezzato solo per l’interpretazione di Stanton, quando invece questa prima opera di John Caroll Lynch si rivela essere un film dal ritmo lento, oserei dire sinuoso, che vuole accompagnare lo spettatore in un viaggio quasi mistico, alla ricerca e forse scoperta delle domande a cui conduce la vecchiaia, un momento particolare dove tutto e nulla può avere o non avere un senso.
Guardando “Lucky”, mi torna in mente un altro film, girato da un altro Lynch, David Lynch che nel film ricopre il ruolo di Howard, con un monologo sulla sua tartaruga che mi ha letteralmente spiazzato. Sto parlando di “Una storia vera”, anche quella un’opera che ci voleva in qualche modo accompagnare in una riflessione sulla vita e sulla vecchiaia.
I due film hanno molto in comune, oltre alla morte degli attori protagonisti poco tempo dopo la fine delle riprese. Sono due film che racchiudono dentro di sé una poetica visiva e tematica splendida che addolciscono e commuovono, senza apparire troppo melensi o pretenziosi e sono riusciti entrambi ad entrarmi dentro, finendo per diventare due dei miei film preferiti.
Nella vita si cresce e si fanno delle scelte. Alle volte giuste e alle volte sbagliate. Infine si diventa vecchi senza nemmeno accorgersene. Un giorno cadi improvvisamente a terra perché le gambe non ti reggono più e ti ritrovi steso sul pavimento a pensare: “Come diavolo ci sono finito quaggiù?”. Una domanda che, oltre alla tragicità del trauma fisico, racchiude metaforicamente un grande senso di angoscia misto a sorpresa, legato alla vecchiaia e al percepire che la nostra vita si sta inesorabilmente per concludersi. Ed è fondamentalmente questo quello che Lucky ci mostra. Un personaggio turbato, quasi assente, ma con una personalità fortemente accesa e genuina che ci illumina e ci insegna che, dopotutto, anche se cadiamo a terra, possiamo comunque sorridere e provare a rialzarci e se non ce la facciamo, l’importante è averci provato.