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A un anno dalla tragica morte dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, si sono chiuse le indagini della Procura di Roma. Un rapimento a scopo di estorsione: questo il piano fatale che ha procurato l’uccisione dell’ambasciatore originario di Saronno e del carabiniere che era con lui nelle vesti di scorta, Vittorio Iacovacci. Secondo la ricostruzione dei fatti e stando tutti gli elementi di indagine raccolti, i due sono stati uccisi per una somma di 50mila dollari. I rapitori banditi li chiesero insistentemente ad Attanasio, Iacovacci e a chi viaggiava con loro ,e con altrettanta ferocia spararono dei colpi d’arma da fuoco quando le due vittime dimostrarono di non averne.
Era il 22 febbraio del 2021 quando il gruppo di banditi assalì il convoglio sul quale viaggiavano i due italiani, nella località di Goma, nella zona del Parco del Virunga, nella Repubblica del Congo. Secondo quanto riportato nelle carte dell’indagine della Procura di Roma, gli aggressori chiesero quella enorme cifra, sicuri di ottenerla, ma Attanasio e Iacovacci non avevano quel denaro. E nel giro di poco l’agguato si trasformò in un tentativo di sequestro a scopo di estorsione con il tragico epilogo che tutti conosciamo. Gli ostaggi servivano dunque al commando per ottenere il riscatto, ma l’agguato è fallito ed è sfociato nella sparatoria fatale che ha ucciso i due italiani.
In questi giorni i pubblici ministeri hanno chiuso l’inchiesta a carico del vicedirettore del programma alimentare dell’Onu Rocco Leone e del suo collaboratore Mansour Rwagaza. A loro carico pende l’accusa di omicidio colposo per non avere rispettato i protocolli di sicurezza nella preparazione del viaggio per la missione del diplomatico. I racconti dei due sono senza dubbio stati molto utili per fare luce sull’intera drammatica vicenda. Durante l’interrogatorio Leone ha ricostruito le fasi dell’assalto. “Ho dato tutto quello che avevo, 300-400 dollari e il mio telefonino – è stato il suo racconto -. Anche l’ambasciatore ha cominciato a togliersi le cose che aveva indosso, sicuramente il portafogli e forse l’orologio – ha spiegato agli inquirenti -. Ho detto a Iacovacci di stare calmo e di non prendere la pistola, forse gliel’ha detto anche l’ambasciatore”.
Anche Rwagaza ha ricordato elementi simili. Nel suo racconto i banditi “hanno intimato di consegnare i soldi. Volevano 50 mila dollari, altrimenti ci avrebbero portati nella foresta e poi avrebbero chiesto un riscatto – ha spiegato -. Ho detto a Rocco Leone che dovevamo cooperare per evitare che fossimo sparati”. “Quando abbiamo cominciato il percorso – ha continuato Rwagaza – gli assalitori si sono agitati. Ci chiedevano di correre veloci, la foresta era difficile da penetrare e correre. A circa due chilometri ho sentito degli spari diversi dall’Ak 47″. Come è andata a finire lo sanno tutti.