Omicidio Regeni, Procura di Roma chiude le indagini: quattro 007 egiziani a processo
A quattro anni dall’omicidio di Giulio Regeni, la Procura di Roma ha chiuso le indagini sulla morte del ricercatore italiano, avvenuta tra gennaio e febbraio del 2016 a Il Cairo. Emessi avvisi di garanzia nei confronti di quattro agenti dei servizi segreti egiziani. Agli indagati il procuratore Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco contestano, a vario titolo, il reato di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio.
Chiesta invece l’archiviazione per un quinto agente: Mahmoud Najem. “Per quest’ultimo – spiega una nota della Procura di Roma – non sono stati raccolti elementi sufficienti, allo stato, a sostenere l’accusa in giudizio”. La notifica della conclusioni “delle indagini è avvenuta tramite il rito degli irreperibili” direttamente ai difensori di ufficio italiani non essendo pervenuta l’elezione di domicilio degli indagati dal Cairo.
Dunque rischiano di finire a processo: il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, carceriere, aguzzino e boia del giovane ricercatore. Quest’ultimo indagato dunque, oltre al sequestro di persona pluriaggravato contestato a tutti, è accusato di lesioni personali aggravate (essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio del 2017) e l’omicidio del ricercatore friulano.
La notifica è avvenuta “con rito degli irreperibili”: ovvero direttamente ai difensori di ufficio non essendo mai pervenuta l’elezione di domicilio degli indagati dal Cairo. “Come previsto dal codice di procedura penale gli indagati e i loro difensori d’ufficio hanno ora venti giorni di tempo per presentare memorie, documenti ed eventualmente chiedere di essere ascoltati”, conclude la nota della Procura.
I pm di Roma, che hanno ricostruito nell’atto di chiusura delle indagini gli ultimi, drammatici giorni di vita di Giulio Regeni, parlano di violenze perpetrate per “motivi abietti e futili e con crudeltà” che hanno provocato “la perdita permanente di più organi”. Giulio, scrivono i magistrati nella ricostruzione, è stato seviziato “con acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni attraverso strumenti affilati e taglienti e di azioni con meccanismo urente”. Un trattamento che ha causato “numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico-dorsale e degli arti inferiori”.
La ricostruzione dei magistrati è stata possibile grazie alle testimonianze di cinque testimoni oculari. Uno di loro ha dichiarato ai pm di aver “visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace”. “Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso – ha raccontato – È una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c’è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la Sicurezza Nazionale. Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro la schiena aveva dei segni, anche se sono passati anni ricordo quella scena. L’ho riconosciuto alcuni giorni dopo dalle foto sui giornali e ho capito che era lui”.