Russia: le proteste contro la guerra si zittiscono con gli arresti. Scomparsa la giornalista Ovsyannikova
Il regime di Putin sempre più in difficoltà rafforza la repressione contro la libertà di espressione, dopo gli arresti durante le manifestazioni e la censura del media, la procura di Stato russa avrebbe chiesto per Alexey Navalny un’ulteriore condanna a 13 anni di carcere e una multa di 1 milione e 200mila rubli. Le accuse per l’oppositore attualmente in carcere sono frode e oltraggio alla corte.
Intanto non si hanno più notizie di Marina Ovsyannikova, la giornalista che ha attuato una protesta plateale, facendo irruzione nello studio del principale telegiornale russo, Channel 1, la più importante emittente pubblica del paese. Comparsa alle spalle della conduttrice, ha mostrato alle telecamere un cartello eloquente: “No alla guerra. Non credete alla propaganda. Qui vi stanno mentendo”.
Dipendente dello stesso telegiornale, la donna sarebbe poi stata arrestata e interrogata. Successivamente il suo avvocato avvocato Dmitry Zakhvatov, ha rivelato alla Cnn che della donna si sono perse le tracce: “Non riusciamo più a trovarla”, ha detto il legale, dopo che inizialmente gli amici della donna avevano fatto sapere che si trovava al dipartimento di polizia di Ostankino.
Poco prima della protesta, la giornalista, aveva registrato un video per spiegare le ragioni del suo gesto: “Quello che sta succedendo ora in Ucraina è un crimine e la Russia è il paese aggressore. La responsabilità di questa aggressione ricade sulla coscienza di un uomo, e quell’uomo è Vladimir Putin. Mio padre è ucraino, mia madre è russa. Non sono mai stati nemici. Questa collana al collo è un simbolo che la Russia deve fermare immediatamente questa guerra fratricida e le nostre nazioni fraterne possono ancora fare la pace”.
E continua la battaglia contro Putin e il putinismo anche delle Pussy Riot, collettivo punk rock russo femminista, che pagò con un lungo processo e con duri mesi di detenzione la loro protesta. Allo scoppio dell’invasione russa dell’Ucraina, due delle tre, Nadia e Masha, sono di nuovo salite alla ribalta della cronaca per il loro attivismo politico e sociale. La prima ha raccolto in pochi giorni 7 milioni di dollari tramite un NFT della bandiera ucraina. Masha, invece, dopo aver scontato 15 giorni di detenzione per “disobbedienza alla legittima richiesta della polizia”, all’udienza del 14 marzo si è presentata con una sciarpa verde, colore dell’opposizione alla guerra in Ucraina e per questo è stata condannata ad altre due settimane in carcere.