Disastro del Vajont, Zaia: “Una ferita ancora aperta per la nostra Terra”

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Disastro del Vajont. Sessantuno anni fa, alle 22.39 del 9 ottobre 1963, un’enorme frana di roccia di circa due chilometri quadrati di superficie, si staccò dalle pendici del Monte Toc, provocando la distruzione della diga, tra il Friuli e il Veneto. L’ondata di acqua e detriti travolse una decina di paesi: 1.917 le vittime stimate, ma molti dei corpi dei dispersi mai ritrovati. Il disastro della diga del Vajont resta una delle pagine più drammatiche della storia italiana del ventesimo secolo.

Un disastro evitabile. Alberico Biadene, direttore costruzioni della Sade, l’8 ottobre, a poche ore dal disastro, chiese ai vertici della società costruttrice della diga di far scattare l’allarme e un piano di evacuazione per Erto e Casso. Biadene scrisse al direttore dei lavori in vacanza negli Stati Uniti, “una lettera drammatica” chiedendogli di rientrare. “Le fessure sul terreno, gli avvallamenti sulla strada, l’evidente inclinazione degli alberi, l’aprirsi della grande fessura che delimita la zona franosa… fanno pensare al peggio… che Dio ce la mandi buona”. Alle 22 il geometra Giancarlo Rittmeyer telefonò a Biadene, per comunicare la sua preoccupazione, visto che la montagna aveva cominciato a cedere visibilmente: 39 minuti dopo la telefonata si consumò il disastro.

L’iter processuale fu lunghissimo. La commissione d’inchiesta ministeriale scattò subito. Il presidente della Repubblica Antonio Segni accorse nella valle del Piave e, vedendo il disastro dall’alto di un elicottero, non riuscì a trattenere le lacrime. Il giorno prima che iniziasse il processo si suicidò Mario Pancini, l’ingegnere direttore del cantiere. Nel 1968, il giudice istruttore di Belluno, Mario Fabbri, depositò la sentenza contro il direttore costruzioni della SADE Alberico Biadene, l’unico che farà un periodo in carcere, ed altre 10 persone, di cui due nel frattempo decedute.

Il fascicolo processuale è stato riconosciuto dall’UNESCO come una fonte imprescindibile per la memoria collettiva, tanto che nel 2023 ha inserito i documenti e i materiali probatori dei processi penali per il disastro della diga del Vajont del 9 ottobre 1963 nel Registro Internazionale Memoria del Mondo.

Luca Zaia: “Una ferita ancora aperta per la nostra Terra”. “Anche quest’anno, per il 9 ottobre, la nostra mente torna al lontano 1963, per non dimenticare le quasi 2000 vittime innocenti, tra i quali 487 bambini, di quella che è passata alla storia come la tragedia del Vajont. Una data che non si risolve in un ricordo routinario perché il dolore è ancora vivo in tante persone, in tante famiglie”, ha detto il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, ricorda il sessantunesimo anniversario della tragedia del Vajont, che cancellò Longarone portando con sé devastazione e morte.

Zaia ricorda che: “Dopo il Cimitero monumentale di Fortogna, l’archivio giudiziario è il riferimento morale più importante di questa sciagura”. Per il presidente della Regione, ” È la bussola per comprendere cosa è accaduto e orientarsi anche oggi. Il nome Vajont, infatti, è sempre ricorrente di fronte a nuove sfide nel rapporto tra l’uomo e la Natura. È una parola che ogni volta che viene pronunciata deve suscitare una riflessione su quale debba essere l’impegno responsabile verso i cittadini e il territorio”, ha concluso Zaia.