E’ tornato in Italia il piccolo Alvin, il bimbo rapito dalla madre foreign fighter
E’ tornato a casa, in Italia Alvin Berisha, il bimbo di 11 anni di origine albanese portato via da Barzago (Lecco) nel dicembre del 2014, dalla madre Valbona Berisha combattente Isis, poi morta in un esplosione in Siria. Alvin è giunto poco dopo le 7:00 all’aeroporto di Roma Fiumicino da Beirut.
Una storia drammatica quella di Alvin, portata alla ribalta da un servizio televisivo de “Le Iene”, che avevano mostrato anche le ferite riportate dal piccolo ad un piede durante la sua difficile esperienza nel campo profughi di Al Hol.
Nei giorni scorsi il Pirellone si è illuminato con la scritta “Free Alvin”. L’iniziativa è stata ispirata dalla mozione urgente sul caso del piccolo Alvin, presentata dalla consigliera di Forza Italia Paola Romeo lo scorso 22 ottobre e votata all’unanimità dall’Aula. Il documento impegnava la Giunta lombarda a sollecitare il Governo nazionale ad avviare contatti diplomatici con il Governo albanese per ottenere il rilascio del bimbo.
Al suo arrivo a Fiumicino Alvin è apparso sereno e sorridente. Ad accoglierlo il padre e le due sorelle. Il ragazzino non parla quasi più italiano. La polizia di frontiera ha quindi proceduto al disbrigo delle formalità burocratiche e per le procedure di affidamento del minore al padre.
“Quando è stato recuperato Alvin, nel campo profughi in cui si trovava c’erano 70 mila persone, non è stato facile, ma è stato accolto come un principino”. A parlare è Maria Josè Falcicchia, dirigente dello Scip, tra le persone andate in Siria a riprendere il bambino. “All’inizio il piccolo, che non parla più italiano perché lo ha dimenticato, ma solo l’arabo e un po’ l’albanese era guardingo, ma ha sempre sorriso, sta bene”.
Il generale dei carabinieri Giuseppe Spina, direttore dello Scip, in avvio di conferenza stampa al Terminal 5 dell’aeroporto di Fiumicino ha riferito che la madre di Alvin, Valbona Berisha, è morta “presumibilmente” a luglio scorso in territorio siriano nel corso di combattimenti. La donna si era radicalizzata, arruolandosi nel Califfato e portando via dall’Italia cinque anni fa il bambino.
“È una storia bellissima”, dice Alberto Nobili, il procuratore aggiunto antiterrorismo della Procura di Milano. “In 40 anni è la prima volta che tengo una conferenza stampa, e vedo solo sorrisi e volti felici”, sintetizza il generale Giuseppe Spina, del Servizio interforze della cooperazione internazionale.
E Francesco Rocca, presidente dei movimenti internazionali della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, spera che questa vicenda non rimanga priva di senso: “Alvin è il nome di una speranza, da oggi nel mondo. Abbiamo dimostrato che noi come operatori umanitari possiamo agire, fare tanto, ma non da soli: solo se ci sono le volontà dei governi che si uniscono. Come in questo caso”.