Le mani della ‘ndrangheta sul termovalorizzatore e sul depuratore di Gioia Tauro
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Le mani della ‘ndrangheta sul termovalorizzatore e sul depuratore di Gioia Tauro. È quanto scoperto con l’operazione Metauros, condotta in queste ore da Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri con il coordinamento della Dda di Reggio Calabria e finalizzata all’esecuzione di un provvedimento di fermo di indiziato di delitto a carico di sette persone presunte affiliate alla cosca Piromalli della ‘ndrangheta.
I reati contestati sono associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni. Nell’ambito dell’operazione stato anche eseguito il sequestro preventivo d’urgenza relativo alle quote azionarie di società operanti nel settore della depurazione e trattamento delle acque, trasporto e compostaggio di rifiuti speciali non pericolosi. L’inchiesta ha portato al fermo di sette persone, tra cui Rocco La Valle, sindaco di Villa San Giovanni dal 2010 al 2015. Tutti, secondo gli inquirenti, sarebbero legati al clan Piromalli.
L’inchiesta, secondo la Questura di Reggio Calabria, avrebbe svelato per la prima volta il condizionamento da parte della cosca Piromalli nella costruzione e nella gestione del termovalorizzatore di Gioia Tauro, l’unico presente in Calabria. Allo stesso sistema estorsivo sarebbe stata sottoposta anche la “I.A.M.” (Iniziative Ambientali Meridionali), una società per azioni con sede a Gioia Tauro operante nel settore della depurazione delle acque.
L’ex sindaco La Valle sarebbe stato l’unico interlocutore delle cosche “beneficiarie” delle estorsioni imposte alle varie società. In manette anche l’avvocato Gioacchino Piromalli: già condannato per associazione mafiosa che, sempre secondo gli investigatori, sarebbe uno dei capi dell’omonima cosca. In manette anche un altro legale, consulente esterno dell’ufficio legale del commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Calabria. Quest’ultimo è considerato l’uomo politico di riferimento della cosca Piromalli per gli affari che ruotavano intorno al termovalorizzatore attraverso l’impresa dei fratelli Giuseppe, Domenico e Paolo Pisano, anche loro sottoposti a fermo.