Medio Oriente, Netanyahu: “Su ostaggi no accordo a ogni costo”. Usa valutano riconoscimento Stato palestinese
Accordo sì ma “non ad ogni costo”. Mentre la trattativa sul rilascio degli ostaggi a Gaza con il possibile cessate il fuoco va avanti, Benjamin Netanyahu in un videomessaggio traccia delle linee rosse non oltrepassabili. ”Stiamo lavorando per ottenere un altro accordo per liberare i nostri prigionieri, ma sottolineo non ad ogni costo”, ha detto il premier israeliano in un videomessaggio. Quindi ha scandito: ”Abbiamo delle linee rosse tra cui: non porremo fine alla guerra, non ritireremo l’Idf dalla Striscia, non rilasceremo migliaia di terroristi”.
Netanyahu ha poi precisato che oltre a lavorare per liberare gli ostaggi, Israele si sta impegnando per raggiungere gli altri suoi obiettivi nella guerra, ovvero “l’eliminazione di Hamas e garantire che Gaza non rappresenti mai più una minaccia”. Ieri il premier israeliano ha incontrato a Gerusalemme 26 rappresentanti di 18 famiglie di ostaggi ancora trattenuti nella Striscia di Gaza, assicurando: “Stiamo facendo tutto il possibile”.
Intanto il segretario di Stato Usa Antony Blinken – che da sabato sarà per la sesta volta in Israele dall’inizio della guerra – ha chiesto al Dipartimento di Stato la presentazione di opzioni politiche sul possibile riconoscimento da parte degli Stati Uniti e a livello internazionale di uno stato palestinese dopo la fine del conflitto a Gaza. Lo ha rivelato Axios. Tra le possibilità a disposizione degli Stati Uniti: riconoscere lo Stato della Palestina; non usare il proprio veto per impedire al Consiglio di Sicurezza di ammettere la Palestina come stato membro dell’Onu; incoraggiare altri paesi a riconoscere la Palestina.
Dopo giorni di feroci critiche all’Unrwa accusata di collusione con Hamas, i maggiori Paesi donatori, con gli Stati Uniti in testa, hanno detto che continueranno a sostenere l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di fornire assistenza umanitaria ai profughi palestinesi a patto che ci siano le “giuste condizioni”. Almeno 12 Paesi hanno sospeso temporaneamente i contributi dopo che il governo israeliano ha fatto circolare accuse che proverebbero il coinvolgimento di dodici dipendenti dell’organizzazione negli attacchi del 7 ottobre, che hanno portato alla morte di più di 1.200 israeliani.