Stato-mafia, i giudici: “La trattativa accelerò la morte di Borsellino”
I giudici della Corte d’assise di Palermo nelle motivazioni della sentenza sulla trattativa Stato-mafia sostengono che l’invito al dialogo che i carabinieri fecero arrivare a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, dopo la strage di Capaci sarebbe l’elemento che indusse cosa nostra ad accelerare i tempi dell’eliminazione del giudice Paolo Borsellino.
Il provvedimento di oltre 5mila pagine che ricostruisce i rapporti che pezzi dello Stato ebbero con cosa nostra è stato depositato nel giorno del 26esimo anniversario della strage costata la vita a Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Un capitolo importante del provvedimento della corte è dedicato proprio all’attentato di via D’Amelio la cui esecuzione, a parere dei giudici, sarebbe stata accelerata proprio dalla cosiddetta trattativa.
La Corte scrive: “Ove non si volesse prevenire alla conclusione dell’accusa che Riina abbia deciso di uccidere Borsellino temendo la sua opposizione alla trattativa conclusione che peraltro trova una qualche convergenza nel fatto che secondo quanto riferito dalla moglie, Agnese Piraino Leto, Borsellino, poco prima di morire, le aveva fatto cenno a contatti tra esponenti infedeli delle istituzioni e mafiosi, in ogni caso non c’è dubbio che quell’invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l’effetto dell’accelerazione dell’omicidio di Borsellino, con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato”.
“Dimenticanze” di Stato. Ci sono uomini e donne delle istituzioni che sapevano della trattativa fra alcuni carabinieri del Ros e l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, ma si sono guardati bene dal parlarne per quasi vent’anni. Le motivazioni della sentenza “Trattativa”, depositate ieri, criticano pesantemente le “eclatanti dimenticanze”, ma anche la “deposizione sorprendente” di un’amica storica di Giovanni Falcone, Liliana Ferraro, che prese il posto del magistrato ucciso all’ufficio Affari penali del ministero della Giustizia. “Avrebbe potuto fornire tempestivamente ed in modo assolutamente spontaneo informazioni che erano dirette a meglio ricostruire quel contesto che ha preceduto e seguito le stragi di Capaci e di via D’Amelio”. I giudici bacchettano “l’evidente tentativo di Liliana Ferraro di minimizzare gli approcci del Ros con Ciancimino” e ricordano che solo il 14 novembre 2009 l’ex capo degli Affari penali ha parlato con la magistratura, “dopo che ne aveva riferito l’ex ministro Martelli”. L’ex ministro della Giustizia non aveva mai parlato col Ros, ma aveva saputo da Liliana Ferraro. Pure Martelli si è ricordato di riferirne tanti anni dopo.
Nel capitolo degli smemorati di Stato viene inserita anche Fernanda Contri, all’epoca segretario generale della presidenza del Consiglio. Pure lei seppe dai carabinieri. E pure lei ha parlato con tanti, troppi anni di ritardo, dopo che il caso Trattativa era stato aperto dal supertestimone Massimo Ciancimino.