Il ritorno all’Astra di Marta Cuscunà: “I miei corvi meccanici ci osservano mentre sfruttiamo il pianeta”
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Venerdì 7 Febbraio al Teatro Astra c’è stato il grande ritorno di Marta Cuscunà, una delle attrici/performer più fedeli e acclamate dal pubblico della storica rassegna Terrestri. Lo spettacolo, Corvidae, sguardi di specie, aveva già ricevuto grandi apprezzamenti in tv, nel programma condotto da Marco Paolini intitolato La fabbrica del mondo.
Sono di nuovo i corvi meccanici protagonisti dello spettacolo, con la voce e le precise manovre di Cuscunà, a renderli saggi, ironici e vitali. I corvi, metafora di una vita rapace (quanto della morte), rappresentano lo sguardo sul mondo di chi dall’alto osserva senza fretta e con il giusto distacco, ciò che per loro significa un futuro pasto caldo: il comportamento degli umani. Forse nessuno, più di un corvo, potrebbe incarnare il concetto di vita e morte legate da un filo tanto sottile quanto elastico.
Il tema dello spettacolo è l’ambiente, dove siamo sempre noi umani gli sciocchi protagonisti: noi che spostiamo gli equilibri fingendo di ignorare le conseguenze dei nostri gesti. Noi che cambiamo le regole per cercare di vincere sempre, a costo di barare; noi che nemmeno quando l’elastico ci torna indietro facendoci male, ci accorgiamo che stiamo sbagliando qualcosa. La gestione dell’ambiente che ci circonda altro non è che l’ennesima prova di come soprusi e discriminazioni sono colpe che ci portiamo dietro e che si ritorceranno contro di noi.
Cuscunà ama da sempre indagare e raccontare le forme di limitazione delle libertà e di sopruso con un occhio femminile (semplicemente perché quelli maschili sono stati sempre in schiacciante maggioranza). Uno sguardo attendo, gentile e secco, con un linguaggio che non fa sconti. E anche questa volta esce tra gli applausi di un teatro sold out, gremito di studenti.
Qual è il progetto a cui sei più legata?
“E’ impossibile fare una classifica, ogni progetto dura quasi tre anni e ci metto dentro tutto quello che è necessario per stare al mondo e fare la mia parte. Sicuramente i miei spettacoli hanno tutti un filo che ha a che fare con le questioni di genere e le varie forme di resistenza verso il patriarcato come ogni forma di ingiustizia e oppressione”.
Che rapporto hai con il tuo territorio? Sei friuliana, vero?
“Ti direi più Venezia Giulia. E’ un territorio nel quale mi sono sentita schiacciata, con la sensazione di dover andar via per riuscire a realizzarmi, ma in realtà sono sempre rimasta. Ho delle radici molto forti che mi tengono lì. E anche molte ispirazioni”.
Quali sono gli strumenti di scena con cui ti senti più a tuo agio?
“Gli strumenti che utilizzo vengono costruiti da Paola Villani e Marco Rogante interamente sul mio corpo, sono come delle protesi per me, dei prolungamenti, dell’estensioni dei miei modi di essere possibili sul palco (in questo spettacolo Marta Cuscunà utilizza dei corvi meccanici, in altri spettacoli utilizzava dei pupazzi, n.d.r.)”.
Dopo “Il canto della caduta” sono tornati i corvi meccanici in Corvidae. Lo spettacolo nasce per un format tv o lo avevi già in mente?
“Il canto della caduta è nato il per teatro e s’ispirava al mito ladino, in cui si racconta della caduta dell’umanità nello sviluppo della guerra come strumento di governo dei popoli; lo stormo dei corvi che osservava l’umanità e la natura della nostra specie, che si dà la caccia a vicenda. Michela Signori, che collabora con Marco Paolini, ha assistito a questo spettacolo e gli ha proposto di includere i corvi intuendo che potessero osservare la nostra specie nel bel mezzo della crisi climatica. E’ stato quindi il punto di osservazione per riflettere sulla propensione umana a sfruttare il pianeta e le altre specie per farci male da soli”.
Che equilibrio ci può essere tra natura e sviluppo in relazione all’intelligenza artificiale?
“Il faro per me è il pensiero di Donna Haraway, filosofa caposaldo dei pensieri femministi contemporanei che già in ‘Manifesto cyborg’ spiegava come la tecnologia fosse parte del nostro modo di essere. Nel cercare un utilizzo positivo delle varie scoperte, separare il naturale dall’artificiale non ha molto senso: la discriminante vera è l’etica che ci mettiamo noi”.
Paolo Tedeschi