Esborsi Tari non dovuti pagati da milioni di famiglie italiane: al via i ricorsi
Esborsi Tari non dovuti pagati da milioni di famiglie italiane. Colpiti in particolare i residenti di comuni tra cui Milano, Genova, Ancona, Napoli, Catanzaro e Cagliari, che negli ultimi cinque anni hanno pagato una tassa rifiuti molto più alta di quanto avrebbero dovuto a causa di un errore di calcolo della quota variabile del tributo, che ha fatto lievitare a dismisura la cifra dovuta. Lo denuncia oggi Repubblica.
A svelarlo nel corso di un question time alla Camera è stato il sottosegretario all’Economia Pier Carlo Baretta, in seguito ad un’interrogazione parlamentare del deputato pugliese Giuseppe L’Abbate del M5S, che a Baretta ha chiesto chiarimenti su una serie di segnalazioni arrivate da varie città. Nella sua richiesta, L’Abbate ha citato come fonte un articolo del Sole24ore che già nel 2014, anno di introduzione della Tari, denunciava inesattezze nel calcolo dell’importo dovuto.
Ma dove si annida l’errore?
La Tari comprende una quota fissa e una variabile. La parte fissa dipende da quanto è grande la casa, quella variabile cresce a seconda del numero dei componenti familiari.
La parte variabile va calcolata una sola volta sull’insieme di casa e pertinenze (ovvero cantine, box locali annessi) tenuto conto del numero dei familiari. La loro esistenza però, non aumenta la produzione dei rifiuti. I Comuni coinvolti, invece, l’avrebbero applicata tante volte quante sono le pertinenze dell’abitazione. In parole povere, sulle pertinenze si applica la Tari come se fossero case, se chi le usa non risiede nel Comune. Se è residente, si considerano locali accessori all’appartamento stesso.
Per recuperare gli esborsi non dovuti è subito sceso in campo il Movimento Difesa del Cittadino che, ha lanciato la campagna “SOS Tari”, per chiedere il rimborso ai comuni. Per aderire basta inviare una mail alle sedi locali del Movimento, che si occuperà di verificare i pagamenti e inviare la richiesta di rimborso al municipio.
Se invece, si vuole agire per proprio conto, si può impugnare l’avviso di accertamento del tributo, notificato loro dal Comune, presentando ricorso alla Commissione tributaria provinciale, in cui si denuncia la cattiva applicazione della normativa. Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso. Poiché non sempre è facile capire se la tassa è stata applicata in modo corretto, si può richiedere al Comune l’accesso agli atti amministrativi per consultare il proprio fascicolo e verificare i criteri adottati per il calcolo del tributo. Un’altra strada, sarebbe inoltre impugnare dinanzi al Tar l’intero regolamento comunale relativo alla Tari.