Into the wild – Come un animale brado tra le frontiere d’Europa

La Corsa della Bora, lungo i confini

Me la ricordo benissimo la mia prima volta, qualche anno fa. Pirenei francesi, Lac Gentau, di fronte a me i 2884 metri del Pic du Midi d’Ossau. Forse la più bella montagna pirenaica, un dente inconfondibile visibile dalla pianura dell’Aquitania francese; era lì

Il Pic du Midi d’Ossau sui Pirenei

vicinissimo a me dalla sua veduta più spettacolare del Refuge d’Ayous. Dopo due giorni di completa solitudine, con la stessa libertà degli animali selvatici, oltrepassavo a piedi il confine tra Francia e Spagna ad alta quota. Due chiacchiere col tipo francese del rifugio, qualche minuto ancora di salita, un centinaio di metri sulla neve a fine giugno, per superare la piccola portella di legno di confine e, nel discendere, poco dopo a chiacchierare con due ragazzi catalani, a riflettere sulle nostre identità e sui nostri paesi: io veneto, italiano; loro catalani, spagnoli. Tre ragazzi dell’Europa pensavamo, tutti insieme con gli stessi euro in tasca, fieri dello spazio aperto che il nostro continente ha saputo conquistarsi.

Sarà un capriccio, uno sfizio, un vezzo, non lo so, ma più volte sono andato in cerca di cammini o corse di frontiera. Mi hanno sempre fatto respirare aria di libertà. Attraversare le frontiera a piedi ti spiega in quanti modi comunità pur vicinissime abbiano conosciuto barriere linguistiche e culturali. Nel Collio, vicino Gorizia, ti rendi conto come, dal giorno alla mattina, un paesaggio assolutamente uniforme, sia stato diviso in due nel nome dell’andirivieni delle rivendicazioni della storia. Muoversi a piedi o di corsa è una grande occasione per conoscere altri paesi, altre culture. Poi io, sarò franco, non posso farci niente, soffoco in mezzo alla paura dell’altro, del diverso.

Lo scorso anno in Istria feci qualche chilometro insieme a un concorrente di Singapore, con un’intesa perfetta. All’Utmb attraversi tre nazioni, Francia, Italia e Svizzera, sconfini regolarmente sopra i 2400 metri e ti ritrovi in gara con persone di oltre cento paesi diversi. Se vuoi rivolgere la parola a qualcuno, devi guardare la bandierina nel pettorale, per sapere quale lingua parlare, ammesso tu la sappia parlare.

Lo sport poi ti fa incontrare chi mai penseresti. Così un mese fa ritorno alla Corsa della Bora, gran gioiello di corsa organizzata da Tommaso De Mottoni, protagonista anni fa del primo Grande Fratello. Un programma lontanissimo da me, distante come sono dal guardare dentro la vita degli altri. Tommaso prepara alla grande questa “ultra” che dal litorale triestino entra in Slovenia sino al confine croato, col sogno un giorno di riuscire a farla arrivare in Istria. Il massimo per me insomma: in qualcosa di più di trenta ore, tre paesi, dai cinque agli otto gradi sottozero che una notte stellatissima, come in Italia nemmeno ci immaginiamo, ti impone di sopportare.

Il via alle sette del mattina inseguendo il compagno di viaggio Corrado Bonizzi. Primi chilometri velocissimi, sino a giungere sul sentiero del Carso. Lungo tratto di su e giù tra Italia e Slovenia, si passa a fianco di qualche foiba, ma ciò che subito colpisce è il continuo ritrovamento a terra di vestiti sulla linea di confine. Una trentina di chilometri di sentiero disseminati a terra di scarpe, indumenti leggeri di fortuna abbandonati dai profughi della rotta balcanica. I segni di chi abbandona tutto per non lasciare testimonianza del suo passaggio in Slovenia e Croazia.

Quando corri per ore, di giorno e di notte, respirando solo quando cammini veloce in salita, puoi pensare a tutto e a niente, a volte è la stessa cosa. I segni dei migranti definiscono i miei pensieri; la mia mente passa dalla gioia dello spostarsi liberi per il continente alla riflessione sui limiti di questa Europa che non sa affrontare unitariamente l’emergenza migratoria. Entrati in Slovenia, aumenta la velocità e la corsa, bellissima, distoglie subito i pensieri. Penso al freddo della notte che aspetta, da sempre soffro alle mani, tutto sembra distogliermi dai crucci del confine. Sarà una pura illusione.

Lascio Golac alle nove e mezza della sera per riprendere a salire. La notte è fredda, ma fantastica. Un cielo zeppo di stelle mai viste accompagna ogni concorrente nel suo avanzare solo. Salgo sino al confine croato, dovremmo incontrarlo in un pascolo aperto. Impossibile non riconoscerlo, lo seguiamo per qualche chilometro. Due metri di altezza di reticolato alla nostra sinistra ci accompagnano, la stessa sensazione che potrebbe darti correre a fianco di un lager. Centinaia di animali selvatici, cervi, caprioli, linci, volpi, lepri muoiono impigliati nella barriera di filo spinato sloveno-croata. Muoversi a piedi o di corsa ti fa sentire esattamente come un animale selvatico.

Non bastavano i vestiti, ora sbatto sul reticolato tra due paesi membri dell’Unione Europea. Solo che la Slovenia sta nello spazio Schengen, al contrario della Croazia. Come a dire il reticolato quale porta d’ingresso della libera circolazione delle persone. Penso a questa povera Europa, che sulla buccia di banana dell’immigrazione, rischia di rinunciare alla conquista del far circolare liberamente al suo interno persone e cose. Penso ai giovani della Generazione Erasmus che ogni giorno vivono il sogno europeo. E a tutti coloro invece che, in scienza e coscienza, sulle paure di chi non si muove e sull’assenza di regole costruiscono le loro fortune politiche.

Rea Kolbl

Lentamente lasciamo il confine e nel cuore della notte riattraversiamo la Slovenia. Di nuovo vestiti, di nuovo il confine, ci avviamo verso la Val Rosandra. Nel cuore di questa vallata mi supera Rea Kolbl, fenomeno delle corse Spartan, slovena trapiantata negli Stati Uniti, che va a vincere la sua corsa. E’ giorno, sono di nuovo in Italia, mi avvio al traguardo dopo quasi trentaquattro ore di gara splendida tra sassi del Carso, sterrato sloveno e mezzo metro in più oltre il reticolato in Croazia.

 

Finisco per scriverne oggi, giorno del Ricordo. Penso agli esuli giuliano dalmati, alla fuga forzata dalla loro terra. Penso a come sono scappati e alle tante difficoltà avute una volta arrivati in Italia, allo squallore e al pregiudizio con cui venivano accolti dai loro stessi compatrioti. Forse la storia è sempre la stessa e fa sempre i conti con chi, per bieco consenso, in ogni tempo e in ogni dove della politica, a destra o a sinistra, soffia sul vento del pregiudizi e delle paure.

La corsa è parte di me, ma le idee sono parte di noi anche quando corriamo liberi. Io, come un animale impigliato, non posso farci niente. Soffoco in mezzo alla paura dell’altro e del diverso.