Quale futuro per le Ipab del Veneto? “Isola Vicentina modello di efficienza”
Sono 230mila gli anziani a rischio di non autosufficienza in Veneto e il loro numero è destinato a salire fino a raggiungere quota 320mila fra vent’anni. Un problema già grande, ma che si porrà come sempre più pressante nell’immediato futuro. Ecco perché si discute da anni di come portare l’intero sistema delle Ipab, le istituzioni pubbliche che si occupano di assistenza, verso una maggiore efficienza.
I sindacati denunciano da tempo quelle che hanno individuato essere le maggiori le criticità: una crescente privatizzazione del settore, il peggioramento della qualità dei servizi, una maggior sofferenza di disabili e anziani non autosufficienti a fronte della ridotta copertura, per quantità e per livello di importo, delle impegnative di residenzialità (quote di retta a contributo dalla regione).
Il nocciolo della questione è la riforma del sistema, attesa da anni e a cui la Regione annuncia di voler mettere mano. La realtà è che il Veneto è fermo da 18 anni e, unica regione assieme alla Sicilia, non ha ancora adottato il testo di riforma delle Ipab previsto dalla legge nazionale del 2001. Da allora si sono susseguiti 13 progetti di legge, nessuno dei quali è andato in porto. I sindacati, unitariamente, chiedono che la riforma mantenga lo status pubblico delle Ipab, facendole diventare Apsp, cioè aziende pubbliche di servizi alla persona. Ma il timore di Cgil Cisl Uil riguarda soprattutto i tempi, con l’estate alle porte, le successive scadenze di bilancio e la chiusura della legislatura con le elezioni nella primavera del 2020. L’assessore alla sanità e al sociale Manuela Lanzarin, che si è impegnata in questi mesi per una nuova proposta, ha spiegato i motivi del ritardo. “Sono consapevole delle attese del territorio, degli enti e dei lavoratori, nonché delle famiglie degli assistiti – aveva dichiarato a marzo – verso una riforma annunciata e invocata da anni. Ma affrontare il problema limitandosi ad una riduzione dell’Irap (l’imposta su dipendenti a carico dei bilanci degli enti assistenziali) e ad un aumento del numero e degli importi delle impegnative di residenzialità, significherebbe mancare l’obiettivo e non riuscire dare una risposta lungimirante ai bisogni di una società che sta rapidamente invecchiando. Per questo abbiamo preferito superare il progetto di legge presentato dalla Giunta all’inizio della legislatura (Pdl 25) e disegnare un intervento più ampio e complessivo attraverso un nuovo testo che la Giunta intende presentare entro l’anno”.
A Vicenza la situazione è causa di scontro politico da anni. Un piano di esternalizzazione di alcuni reparti, ricorrendo a cooperative esterne per l’impiego di operatori sanitari, era stato presentato dal precedente CdA (nominato dalla Giunta Variati) per cercare di risanare un bilancio da tempo deficitario, ma ora è congelato dopo la nomina del nuovo consiglio direttivo presieduto dall’ex direttore generale della Ulss 6 Ermanno Angonese. Nei giorni scorsi i consiglieri comunali di opposizione hanno accusato la maggioranza di centrodestra e il sindaco Francesco Rucco di non voler affrontare il tema Ipab, rimandando la prevista discussione in aula. A Breganze il problema maggiore riguarda invece le strutture ormai vetuste: diversi progetti sono sul tavolo, uno dei quali prevedeva la trasformazione dell’ente in fondazione, progetto bloccato per ora dalla Regione in attesa della riforma complessiva del settore.
Tra le realtà provinciali dedite all’assistenza c’è poi il caso di Isola Vicentina. Qui la trasformazione in Fondazione Gaspari Bressan era già avvenuta nel 1999. In questo caso il CdA viene nominato dal sindaco d’intesa con il consiglio pastorale. I vantaggi sono innanzitutto fiscali, con la riduzione dell’Irap dall’8,5% (tasso applicato alle Ipab) al 3,5%, ma anche nello sveltimento delle procedure per gli appalti di piccolo importo e nella selezione diretta del personale, assunto con i contratti del settore privato e quindi con trattamento economico leggermente inferiore al pubblico impiego. “Chi ha avuto quella idea ha fatto bene. Grazie a questa scelta i nostri bilanci sono in attivo e abbiamo incrementato gli organici”, spiega il presidente Alberto Leoni. “Certo è impellente che le Ipab vengano riformate, abbiamo bisogno che il sistema trovi equilibrio. La trasformazione in Apsp garantisce lo status pubblico ma tuttavia non supera i problemi di fondo. Il nostro caso è un buon modello, non so però se possa valere per tutti, ci vuole consenso e adesione”. È quasi certo tuttavia che la riforma andrà nella direzione della trasformazione in Apsp, quello che non si sa ancora è se ci sarà un intervento per equiparare la fiscalità al sistema delle fondazioni, che al momento sono avvantaggiate. La parola, dopo 18 anni di attesa, spetta ancora una volta alla politica.