Il rogo del Drago di Vaja fu doloso: l’autore, un ragazzo con fragilità mentali
Né un mozzicone di sigaretta gettato accidentalmente, né il gesto estremo di un residente prossimo alla zona dell’installazione e infastidito dall’alta affluenza di turisti. A dare fuoco, ormai un anno fa, al Drago di Vaia, l’installazione dell’artista altopianese Marco Martalar, sarebbe stato un giovane con problemi psichici.
A questa conclusione – dopo lunghe indagini e l’incrocio di vari dati fra cui targhe, tabulati telefonici e testimonianze – sono giunti i Carabinieri del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Trento coadiuvati dagli uomini dell’Arma di Lavarone che hanno così chiuso il cerchio sull’increscioso episodio che tanto sdegno suscitò non appena la notizia del rogo dell’opera divenuta meta di veri e propri pellegrinaggi turisti verso l’altopiano sull’Alpe Cimbra fece il giro delle cronache locali e nazionali. Mesi di lavoro, 3.000 viti e 2.000 scarti di arbusti che andarono rapidamente in cenere: prima della rinascita, qualche mese fa con un nuovo drago – costruito proprio coi legni carbonizzati del suo “antenato” – per ricordare che l’arte vince su tutto. Anche su quello che appunto non fu un fatto accidentale, ma un rogo doloso, benché provocato da una persona mentalmente fragile pare residente in altra provincia.
E mentre il caso è stato così archiviato, cresce la preoccupazione per un’altra installazione di Martalar: l’Orso di Molveno, al centro di una vera e propria bufera fuori e dentro i social contro i grandi carnivori, che ha costretto le autorità locali ad un monitoraggio serrato dell’opera lignea, con diverse telecamere al fine di scongiurare gesti simili.