Nuova stretta alle libertà dei cittadini in Turchia. Erdogan vuole controllare i social media
Nuova stretta alle libertà dei cittadini in Turchia. Il parlamento ha infatti approvato una controversa legge che consentirà al governo un maggiore controllo sui social media. Colossi come Facebook, Twitter e Youtube d’ora in avanti dovranno avere un referente locale che vigilerà sui contenuti e ne deciderà l’eventuale rimozione in base alle norme vigenti in Turchia. La legge è stata proposta dal partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, Akp e dal suo alleato, il nazionalista Mhp, che hanno la maggioranza.
La nuova legge prevede tra l’altro, che i server che contengono dati di utenti turchi siano conservati in Turchia. I gruppi per i diritti umani temono che il provvedimento dia un ulteriore colpo alla libertà di espressione con migliaia di persone già sotto accusa per “aver insultato il presidente Erdogan sui social.
L’ulteriore timore è che un maggiore controllo di Ankara sui grandi network come Facebook e Twitter possa impedire l’accesso ad un’informazione indipendente o critica in un Paese in cui i principali media sono nelle mani dello Stato o di imprenditori vicini al governo.
Ira delle associazioni per i diritti umani. Per Human Rights Watch la nuova legge è l’espressione di “un nuovo Medio Evo della censura online”.”I social media – ha sottolineato l’ong – hanno un’importanza cruciale per molte persone che li usano per informarsi. Questa legge annuncia un oscuro periodo di censura online”.
Per Amnesty International: la nuova legge turca sui social media “rafforzerà le capacità del governo di censurare i contenuti e perseguire gli internauti”. “È una chiara violazione del diritto alla libertà di espressione online”, sostiene Andrew Gardner, ricercatore dell’ong sulla Turchia. “È l’ultimo e forse il più sfrontato attacco alla libera espressione in Turchia. I giornalisti passano già anni dietro le sbarre per le loro notizie critiche e gli utenti dei social media devono autocensurarsi nel timore di offendere le autorità”, prosegue Amnesty, secondo cui la norma “viola i diritti umani e gli standard internazionali”.