“Coglione, non farti più vedere”: l’angelo del fango licenziato per un giorno da volontario
“Dopo che sono tornato dalla Romagna mi hanno detto che potevo pure starmene a casa e non c’è stato verso di spiegare quello che speravo non avesse bisogno di tante parole”. E’ ancora un po’ scosso Marco Santacatterina, 24enne residente a Marano Vicentino, che dopo una prima esitazione ha voluto raccontare una vicenda che ha dell’incredibile e che racconta uno spaccato di vita e di società su cui varrebbe la pena fermarsi e riflettere.
Tutto ha inizio giovedì scorso quando Marco, che studia Informatica all’Università di Verona, vede su un canale Telegram che stanno cercando volontari in grado di dare una mano per l’emergenza dovuta alla tremenda alluvione che ha flagellato l’Emilia Romagna e decide che avrebbe dovuto fare anche lui la sua parte: “Quelle immagini di devastazione e di sofferenza non riuscivo proprio a togliermele dalla testa – racconta Marco – e pensavo se avessi potuto anch’io adoperarmi in qualche modo. Così quando ho visto quel messaggio non ci ho pensato un attimo: ho chiamato anche mia sorella Sara che ha subito accettato di buon grado e ci siamo così attivati per censirci come volontari ‘spalatori’ al polo fieristico di Cesena, punto di raccolta stabilito per tutti quei non residenti che vogliono dare il loro contributo”.
Un gesto nobile, di quell’empatia che dà speranza, fatto con l’entusiasmo e lo slancio giovanile di chi butta il cuore oltre ostacolo. Un ostacolo che in effetti si è presentato, insormontabile, visto l’epilogo: “Sabato, quando dovevamo partire per Cesena – spiega ancora Marco – avrei dovuto prestare servizio nella pizzeria d’asporto dove da qualche settimana avevo un contratto a chiamata come fattorino: così già giovedì sera stesso ho chiamato il titolare spiegandogli le mie intenzioni e chiedendogli di potermi assentare per quella sera, ma in cambio mi sono preso del coglione, che sarei ben potuto andare in un altro momento e che a quel punto in pizzeria potevo proprio non presentarmi più”.
Parole dette con una freddezza e un distacco disarmanti e alle quali Marco non ha voluto credere fino a quando, ripresentandosi la domenica nel locale che ha sede a Thiene, non ha visto con i suoi occhi il titolare indicargli l’uscita.
“Quello che più mi ha ferito – motiva ancora lo studente con la voce un po’ tremante – è che mi ha trattato come gli avessi detto che andavo a ballare incurante del mio impegno di lavoro. Tra l’altro avevamo pattuito che un giorno libero mi spettava, sono sempre stato di parola, spesso fermandomi oltre l’orario prestabilito senza chiedere nulla in cambio. Mi trovavo bene e volevo ricambiare: ma questa decisione mi ha letteralmente spiazzato”, conclude mentre la sorella Sara lo rincuora con una mano sulla spalla.
L’umanità di due giovani che hanno regalato il loro tempo e la loro presenza, alzandosi all’alba e raggiungendo a loro spese chi si trovava in difficoltà contro il cinismo di chi ha pensato che forse per una sera non avrebbe proprio potuto fare anche altrimenti: “Non so se mi mi lascerò alle spalle tanto presto questa vicenda, confido con un po’ di buona volontà di trovarmi un altro lavoretto – si incoraggia Marco che già pensa di tornare – ma una cosa è certa: rifarei tutto. Quando siamo arrivati là sembrava di vivere dentro ad un incubo, intere vie ridotte a cataste di macerie ammucchiate, i sacrifici di una vita immersi in un fango che ancora mi sento addosso.
Abbiamo liberato la cantina di una coppia di anziani, i loro occhi pieni di gratitudine mi hanno dato più di quanto hanno potuto le mie braccia per loro. Mi sono sentito fortunato: io non so come avrei reagito se l’acqua mi avesse tolto tutto in pochi maledetti istanti. Là invece la gente ci sorrideva, ci hanno dato da mangiare e da bere come se ci conoscessimo da sempre: organizzatissimi e pieni di voglia di ricominciare a tornare a quella quotidianità perduta”.