Perù, ergastolo per l’assassino di Nadia De Munari. Eventuale revisione della pena non prima di 35 anni
La brutalità con cui Moisés López Olórtegui provocò le ferite mortali alla missionaria laica di Schio Nadia De Munari nell’aprile del 2021 sono valse la condanna all’ergastolo per il giovane peruviano (oggi 24enne). E’ lui assassino della donna vicentina emigrata in Sud America per far del bene al prossimo e barbaramente uccisa per un telefonino cellulare da un giovane sbandato di Nuevo Chimbote, cittadina costiera dove operava in un centro per l’infanzia la 50enne originaria di Giavenale.
Di poche ore fa la notizia della sentenza definitiva di condanna di Olórtegui, che sarà oggetto di eventuale revisione solo tra 35 anni secondo l’ordinamento legislativo vigente in Perù. Un epilogo giudiziario atteso dai familiari in Veneto di Nadia, a 20 mesi dalla sua morte e la cui esistenza terminò prematuramente a Lima. A distanza di tre giorni dalla notte tra il 20 e il 21 aprile in cui fu colpita con violenza.
La donna gravemente ferita fu trovata in fin di vita all’alba, a distanza di alcune ore fatali dall’aggressione, complicandone i tentativi disperati di salvarla in ospedale nella capitale peruviana, dove era stata trasferita d’urgenza. In quella drammatica notte Nadia fu colpita alla testa da fendenti di martello da parte di un ladro introdottosi nel centro Mamma mia, la casa per insegnanti e ausiliarie, e che la colpì d’impeto, una volta trovatasela di fronte, per timore di venire riconosciuto. Solo tre mesi dopo l’autore dell’incursione ebbe un nome e un volto, con le indagini a verificare la posizione della giovane moglie dell’uomo e di altri due presunti complici. La missionaria vicentina, direttrice del centro e legata da oltre 20 anni all’Operazione Mato Grosso attiva in Sud America, dalla sua camera dove stava riposando era stata attirata dai rumori causati dall’intruso e non si aspettava certo l’esito tragico di quell’incontro.
L’imputato, poi reo confesso dopo l’arresto e la permanenza in carcere, aveva confessato l’omicidio solo in seguito a tre mesi di distanza del delitto. Però, nel corso del recente processo, secondo una testata locale che ne ha seguito i lavori, si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere sull’attribuzione della responsabilità dell’omicidio. A condannarlo al massimo della pena è stata la Corte Superiore di Giustizia di Santa, la provincia del Perù in cui si trova la città di Chimbote e i villaggi intorno.