Don Mazzi operato all’ospedale dell’Alto Vicentino: “Medici, guardate i pazienti negli occhi”
E’ stato dimesso domenica sera dal reparto di Urologia dell’ospedale di Santorso, a due giorni dall’intervento chirurgico a cui è stato sottoposto. Il passaggio di don Antonio Mazzi, classe 1929, prete di origini veronesi, molto conosciuto per il suo impegno a fianco dei giovani che “deragliano” e star televisiva, non poteva passare inosservato.“Ho scelto l’ospedale di Santorso perché qui ho alcuni cari amici tra i medici e anche perché, fuori dal turbinio milanese, riesco a usufruire delle stesse cure stando in pace” racconta.
Qui di seguito, la chiacchierata di don Mazzi con l’ufficio stampa dell’Ulss 7 Pedemontana.
E’ seduto sulla poltrona, attaccato a una flebo, Don Antonio, classe 1929, i capelli bianchi un po’ spettinati, come di chi ha dormito a lungo. Accanto a lui i tre amici medici non lo perdono di vista un attimo. Lo sguardo è fermo, acuto, la voce solo un pochino piu’ smorzata del solito. Ha fretta, Don Antonio, ha fretta di uscire perché deve andare a Betlemme, la prima tappa di un lungo viaggio che lo vedrà poi occupato a Cuba e infine in Brasile. “Qui sto bene. La struttura è moderna, bella. Tuttavia vorrei che le pareti di tutti gli Ospedali fossero dipinte a colori; devono essere vivaci; devono essere il luogo dove la gente, nonostante stia male, sta bene. Qui è buona la tecnica, molto buona l’assistenza. In altri Ospedali la tecnica è garantita, ma la parte assistenziale è un po’ zoppicante”.
Mano a mano che si procede con il dialogo anche la voce si fa più sicura. “La società di oggi sta dimenticando che ha a che fare con gli uomini. Le attrezzature disponibili sono tanto sofisticate per cui sembra che valga più la tecnica che l’uomo e, se questo uomo vale, viene dopo. Per me questo creerà un grande disagio già nei prossimi anni perché la tecnica non rende forte l’uomo; a rendere forte l’uomo è la cultura. E’ il rapporto con gli altri che ci fa più uomini. Il rapporto con le attrezzature non ti fa diventare uomo, ti farà diventare importante, efficiente. Ma noi abbiamo bisogno di cuore, perché noi uomini siamo fatti soprattutto di cuore. Ci siamo dimenticati di questo. A Santorso ho trovato la qualità del rapporto umano, che è sempre più difficile da trovare. La crisi politica, familiare, ecclesiale è crisi di rapporti. E’ comodo dire che la donna va rispettata, ma una cosa è dirlo sui giornali e un’altra è vivere la diversità, in famiglia, a scuola, in politica. Vivere la diversità significa coglierla fino in fondo e rispettarla, non dirlo solo a parole. E’ come dire che rispettiamo la donna perché 1/3 dei candidati di una lista per il rinnovo del Consiglio Comunale è femminile. Il problema non è quanti siamo, ma quale rapporto abbiamo tra i componenti della lista, quale rapporto abbiamo con la gente. E’ un problema che sta coinvolgendo anche noi preti. Lo sta attualizzando e rimettendo sul tavolo questo papa, con le difficoltà che possiamo solo immaginare. Non ci dobbiamo tuttavia spaventare: il primo a perdere è stato Cristo, ricordiamocelo”.
L’ultimo sforzo editoriale di don Antonio s’intitola “Amori e tradimenti di un prete di strada”, recensito come l’unica sua autobiografia. “Fino ad un certo punto è autobiografico. Ho colto alcuni momenti strani della mia vita e ho cercato di far capire alla gente che lavorare con i poveri è una ricchezza. Quello che fa stare più male è il tradimento degli amici, di quelli che credevi fossero più retti. Ciò che mi fa accettare questi tradimenti non è nulla di eroico, perchè è la normalità della vita la difficoltà dei rapporti che più sono forti e più sono a rischio di tradimento. Io credo nell’uomo e sono convinto che anche nel peggiore degli uomini ci sia qualcosa che vale la pena conoscere. Questo è ciò che mi ha fatto continuare a lottare e ad accogliere i peggiori uomini d’Italia”.
Parliamo della sua notorietà e dei pericoli che può comportare. “La notorietà io un po’ la sopporto e un po’ la sfrutto. Perché uno che vive in questi anni non può non usare i mezzi che ha a disposizione. Ma sono mezzi a rischio, dalla tv, ai giornali, al web. D’altro canto Savonarola predicava nelle piazze, Cristo predicava in montagna, don Bosco ha inventato l’oratorio. Noi non possiamo non parlare. Io non sono del parere che un albero che casca fa più effetto di una foresta che cresce. E’ un effetto diverso. Io sono nessuno nel mondo della comunicazione, l’ho usata la comunicazione, perché è un modo per arrivare alla gente che ha bisogno. Certamente è rischioso, molte volte ho sbagliato, la gente talvolta mi ha visto male. Per uno che fa la mia vita, cioè che lavora in questo campo con questa gente, credo abbia fatto un male minore che stare zitto. La notorietà non mi è costata. Mi è costata la mia mentalità. Dentro la Chiesa sono un ribelle, sano, ma pur sempre ribelle. Perché molte cose della Chiesa io non le accetto soprattutto quando la burocrazia, la norma vale più dell’uomo. C’è una bellissima frase del Vangelo che dice che l’uomo vale più del sabato, invece questa Chiesa vale più dell’uomo”.
In conclusione l’invito a tutti gli operatori del mondo sanitario. “La prima cosa che vorrei dire a chi lavora in Ospedale è: prima di parlare, di dire qualsiasi parola, guarda negli occhi chi hai di fronte, perché gli occhi sono più espressivi delle parole. Le parole rivelano solo una piccola parte di quello che vorremmo esprimere. Negli occhi potrai leggere il dolore, la speranza, la fiducia e la paura. Il secondo invito è: ascolta chi hai di fronte. Ma la prima è: guardalo”.