Da Rifugio a locanda, il Balasso visto dal suo team ‘rosa’: ‘Qui tocchiamo la vita con mano’
Non sarà formalmente più un rifugio, ma il Balasso è pur sempre un approdo sicuro per tutto un piccolo mondo che transita per quella strada un po’ erta che punta verso l’Ossario. E’ una storia che parte da lontano quella del Rifugio Balasso, nel comune di Valli del Pasubio, e che affonda le sue radici nel terreno teatro degli scontri tra l’esercito austriaco e quello italiano durante la Prima Grande Guerra. Vecchia cabina elettrica costruita dai militari per la fornitura di energia elettrica alla vicina teleferica del Pasubio, era chiamata dagli alpinisti ‘Sengiara’, utile negli anni venti quale base per la ‘Scuola Vicentina di roccia’.
Nel 1951 venne acquistata non senza difficoltà dalla Società Alpinisti Vicentini che la ampliarono rendendola rifugio alpino: l’intitolazione venne fatta a Nerone Balasso, socio scomparso in tragiche circostanze il 9 settembre 1950 durante una escursione alla Cima Grande di Lavaredo. Ma è solo nel 1993 quando per effetto della legge regionale 52/86, il Rifugio venne declassato a locanda, che la S.A.V. decise di venderlo e arrivò la famiglia Fin, odierna proprietaria: “I miei genitori ci pensavano da tempo ma i soldi non bastavano – racconta Cristina che allora era solo una ragazza – finchè, abbassato il prezzo decisero di tuffarsi in questa avventura. Mia madre veniva da una lunga esperienza in quanto aveva servito una vita al ‘Pecori Giraldi’: lì conobbe mio padre che invece veniva occasionalmente, quando non lavorava in fabbrica.
Una vita di sacrifici, l’attività che non fa nemmeno a tempo a decollare che già Ottorino Fin viene a mancare: “E’ stato un duro colpo – ammette Cristina nascondendo l’emozione sotto una corazza fatta di battute pronte per tutte le occasioni – ma siamo andate avanti. Io, mia sorella Paola e naturalmente mamma Lorenza, senza perderci d’animo. Dopo l’ultimo intervento eseguito ancora dalla S.A.V. nel 1981 per la realizzazione di servizi igienici interrati, il rifugio è rimasto pressochè immutato fino al 2013 quando abbiamo ampliato con 4 nuove camere dotate di servizi propri”.
Punto di riferimento per escursionisti, amanti della roccia ma anche per tanti che vengono su queste cime con la devozione di chi non ha dimenticato fatti che hanno segnato per sempre la storia veneta e italiana: “Oggi siamo anche punto di appoggio per il Soccorso Alpino di Schio – commenta orgogliosa Cristina che intanto monitora la sala per vedere se qualcuno dei commensali ha bisogno – tutti bravi ragazzi che danno il massimo quando c’è un’emergenza e che qui sono in famiglia”. Inevitabile il pensiero a tante storie finite bene e ad altre che invece, dopo giorni di ricerca, si sono concluse drammaticamente: “Qui fai anche un po’ da psicologa – racconta Cristina – ci sono spesso i familiari dei dispersi che attendono qui notizie dei loro cari e tu non puoi non star loro vicino, con la parola o con una tazza di buon caffè. Sperando che la porta si apra e la tensione si sciolga in un abbraccio”.
E se c’è una cosa che conquista tutti nei momenti di relax quando invece ci si gusta il clima mite e la vista mozzafiato, sono i piatti della cucina Fin: il tris di primi, abbondante e sempre variegato e la mitica grigliatona che mamma Lorenza ancora cucina sulle braci, 77 anni suonati ma guai a toglierle il forchettone: “Cucina per noi è sinonimo di semplicità e ingredienti quanto più possibile locali – spiega Cristina – tipo gli gnocchi di ortiche e patata o gli stringozzi alla carbonara di asparagi che abbiamo preparato in questi giorni assieme ai cannelloni con asiago e cipollotto. Di avventurarci a fare cose troppo elaborate che ci snaturerebbero, non ci pensiamo: ognuno deve offrire quello che sa far bene”.
Bene come l’accoglienza dietro al bancone di questa locanda tutta al femminile dove da qualche tempo si è aggiunta anche la figlia di Paola, Jessica: solo apparentemente ruvide, schiette come chi ne ha viste troppe per perdersi in ricami, pochi convenevoli e diritte al punto.
Un punto fermo fatto di sapori che si intrecciano con la storia e che si mescolano alle vite che vanno e vengono da quella porta dove le giubbe rosse dei soccorritori sanno di poter contare tanto quanto gli avventori diventati ormai amici: “Ci sono persone che attendo e che so che arrivano sempre a salutare, altre che più discretamente passano – si emoziona Paola – come i genitori di un giovane mai trovato. Per lui arrivano ogni anno fiori freschi e per loro c’è solo la consolazione di un paesaggio che non cambia mai”.
E che rimane lì. Ma questa è un’altra storia.