Da Vicenza a Canterbury in bicicletta andata-ritorno: la “ciclofollia” di Giorgio Zebele
Vicenza-Canterbury-Vicenza, 3-200 chilometri sulla via Francigena, E’ la pazza avventura di un anno fa di Giorgio Zebele, operatore vicentino nell’ambito della cooperazione sociale e grande appassionato delle due ruote, di cui avevamo già raccontato il viaggio a Santigago de Compostela qualche anno fa. Questa volta, Zebele ha percorso la tratta da Vicenza al Regno Unito e ritorno con la sua bicicletta, in un viaggio che cela sempre una straordinaria avventura e voglia di vivere e scoprire. Un viaggio che si è tradotto in un nuovo libro dal titolo “Una bici. Anzi due”.
Perchè questo viaggio, Giorgio?
«La domanda dovrebbe essere: perchè viaggiamo? Per sopravvivere. Alla fame, alla guerra, alle persecuzioni, alla povertà. Anch’io nel mio piccolo cerco di scampare alla persecuzione del quotidiano, alla fame di conoscere il mondo e alla povertà d’idee. Voglia di avventura e natura, di stare un po’ tra me e me e allo stesso tempo di costringere l’orso che sono a confrontarsi con persone sconosciute, diverse dalle rassicuranti facce note. E così per l’ennesima volta sono partito. Montato in sella alla mia vecchia bici e via. Austria, Germania, Olanda, Belgio, Francia, Gran Bretagna fino a Canterbury e poi ritorno. E ho scritto un diario, una cronaca giornaliera a beneficio di chi stava a casa».
Tu la fai facile, troppo semplice. Raccontala giusta.
«In realtà è vero, ho tentennato un sacco: una battaglia interiore tra partire o non partire, vista la situazione non felicissima al lavoro; tra bici o non bici, quando il mio destriero si è spezzato in due a metà strada; tra pubblicare o non pubblicare gli appunti del diario perché mi sembrava una ripetizione del precedente e con una meta molto meno rinomata. Alla fine comunque ha prevalso la voglia di andare, di raggiungere il traguardo e completare il percorso. E di lasciare una traccia, per quanto minimale».
Che obiettivi ti eri dato?
«Da qualche anno percorro in bici le antiche vie di comunicazione europee. A piedi no perché le mie ginocchia non sono più quelle di una volta. Nel 2016 ho fatto assieme a Franco Fontana un tratto della Francigena, da Fornovo a Roma. Dopo quella esperienza di sei giorni mi è venuto voglia di fare di più. E così l’anno successivo ho raggiunto Finisterre partendo da Venezia. Ero da solo ma ho scoperto mio malgrado che la compagnia ti afferra per strada e ti costringe ad uscire dal guscio dove ti rigiravi beato. E poi mi sono ritrovato a scrivere giorno per giorno agli amici che volevano aggiornamenti. Anche qui una sorpresa: mi sono divertito così tanto a scrivere che ne è uscito un libro. Lo scorso anno infine, non contento di aver fatta a suo tempo solo un pezzo di Francigena, mi sono ripromesso di farla dall’inizio partendo da Canterbury. A fare il pezzo che mi mancava da Canterbury a Fornovo tuttavia ci avrei messo solo 12 o 13 giorni. Troppo poco. In più smontare la bici e metterla in aereo sarebbe stata una noia mortale e un’incognita su come me la sarei ritrovata. Così ho deciso di fare una ciclofollia, andata e ritorno. E in solitaria: la libertà di poter scegliere in tempo reale il percorso, quando partire, dove fermarsi, cosa mangiare o dove dormire non è garantita se non parti solo. E neppure quella di poter “perder tempo” a scrivere. Certo ti puoi far male o puoi semplicemente avere un problema tecnico e non c’è nessuno che ti affianca. Ma ho scommesso sul prendere la vita come viene, in pieno spirito di adattamento, con l’elasticità di reinventarsi giorno per giorno: in caso di necessità qualcuno avrebbe comunque avuto pietà di me. E così è stato».
In cosa è consistita quindi questa ciclofollia?
«Ho percorso 3.200 chilometri in 21 giorni ai primi di maggio, salito (e disceso) un dislivello di 18.500 metri passando per la Valsugana, Trento e Bolzano, il Brennero, Innsbruck, Garmisch, Ulm, Stoccarda, Mannheim, la valle del Reno, Bonn, Aquisgrana, Maastricht, Anversa, Bruges, Ostenda, Calais, Dover fino a Canterbury. E poi ritorno lungo la Francigena: Arras, i luoghi della grande guerra nel centenario e la Champagne. A questo punto mi sono reso conto che se avessi continuato verso sud, la Svizzera e la Valle d’Aosta, come ripromesso, mi sarei bloccato sul Gran San Bernardo, ancora chiuso per cinque metri di neve. Mi sono maledetto da solo e ho fatto l’unica cosa sensata, penso, per non rinnegare gli intenti iniziali riprendendo la strada verso il Brennero passando per Nancy, Fussen, di nuovo l’Austria, il Tirolo, la valle del Brenta e a casa. Ho dovuto reinventare la strada e me stesso, rivedere il percorso e i miei obiettivi ad ogni svolta».
Quali sono stati i momenti più difficili?
«Non tanto la fatica fisica o quella di individuare/reinventare la strada giusta, il brutto tempo o i problemi tecnici come rompere la bici, o alcune piccole/grandi cadute dovute alla distrazione, tutte cose che ci sono state ma facevano parte del gioco, anzi erano il gioco stesso. Sicuramente durante il ritorno, quando ormai era sfumato l’obiettivo di percorrere tutta la Francigena fino in Italia, quando non c’erano altri scopi che ritornare a casa, c’è stato un momento in cui l’adrenalina ha raggiunto il fondo e mi ha pervaso a volte un certo senso di solitudine. Per fortuna il costante contatto via social con un nutrito numero di amici mi ha ridato la carica necessaria per non mollare».
Quello più bello?
«Ve lo riporto direttamente dal diario: “Come un Dorando Petri alla maratona delle olimpiadi di Londra, cadiamo a pochi passi dal traguardo. In senso metaforico, niente paura, cadiamo in piedi. Il tubo di traverso del telaio di Carolina si spezza a metà, così, all’improvviso. Posso solo ringraziare il cielo che fossimo in salita, lenti. (…) Borse in spalla e camminare. Tanto mancano solo 12 miglia a Canterbury, 19 chilometri. Due ore e mezza, al massimo tre. Poi però mi rendo conto che sono lento con le borse, arriverei tardi, oltre le 21 e sarebbe ancor più difficile trovare una soluzione per il pernottamento. Allora decido per il metodo classico: autostop. A quest’ora e su questa collina di macchine ne passano poche, altro che il traffico di Dover. Nessuna si impietosisce. (.) Ma non mi posso lamentare perché gli angeli sopra il Kent ci sono davvero e si chiamano Lorraine ed Ian. Vedono lo strano tipo mentre stanno rincasando a piedi e dopo un paio di battute si offrono ad accompagnarlo a Canterbury. “Realmente? Siete troppo gentili”. “Vieni un attimo in casa, bevi qualcosa”. “Non vorrei disturbare”. “No, anzi è un piacere”. Beh, per farla breve, dietro loro pressante insistenza (.), ribadendomi più volte di essere felici di poter passare un po’ di tempo con un personaggio molto particolare (“What amazing experience”), mi sono fatto una doccia, messo abiti puliti, mangiato con loro (pork and vegetables), passato la serata a chiacchierare (basic english) davanti al fuoco ed adesso sto scrivendo steso a letto. (…) Sono molto simpatici e curiosi, e scatta la scintilla della confidenza immediatamente, oltre che qualche foto. Ian mi accompagna addirittura a recuperare la bici e si prende cura di portarla al ferrovecchi. E domani Lorraine mi porta a Canterbury prima di andare al lavoro”. Con Lorraine continuiamo a scriverci e li aspetto a casa mia prossimamente. Ma loro verranno in moto! Anche con SuperZaf, Massimo Zaffari, un ciclista d’altri tempi, incontrato su per la valle dell’Isarco, ci scriviamo spesso. Lui si è visto girare a Vicenza quest’estate con un Penny Farthing, il biciclo ottocentesco, provenendo da Brno (Repubblica Ceca), dove era andato a ritirarlo, ed ha lasciato traccia nelle nostre cronache locali. Ho viaggiato da solo ma, ancora più che lungo il Cammino di Santiago (dove forse c’è anche troppa gente), ho avuto la possibilità di legare con persone amichevoli disposte a dare una mano ad un “povero pellegrino” in difficoltà per una vite persa lungo la ciclabile del Reno o disperso nelle pianure belghe. E poi il tifo via social è sempre stato forsennato, come giocare in casa, difeso da una sessantina di amici».
Avrai dovuto sostenere una preparazione intensa prima di partire, immagino!
«No, tutti possono fare questi giri, basta un po’ di allenamento, soprattutto gambe e fondoschiena, e dosare le distanze in base alle proprie forze. All’inizio ci si annoia un po’, io la supero ascoltandomi un audiolibro dopo l’altro, ma poi il corpo ti restituisce una sensazione di piacere esuberante e non vedi l’ora di partire veramente perché le lunghe distanze non sono più un problema. Da febbraio ad aprile con tre uscite alla settimana mi sono sentito pronto: 50 km e un po’ di dislivello sui colli Berici prima di andare al lavoro o qualche giro più lungo nei festivi. Anche perché l’allenamento vero te lo fai andando. Il primo giorno ho macinato 230 chilometri. Ma neppure l’ultimo ho scherzato con 200. E sempre tutto lentamente: velocità di crociera sui 20 chilometri l’ora, in pianura. Non sopporto però il caldo: maggio è un buon compromesso, anche se poi ti capita di trovare i passi alpini ancora innevati!».
Come ci si può procurare “Una bici. Anzi due”?
«Adesso è un ebook e lo si può trovare digitando “una bici anzi due” su Amazon. I video e le foto invece su Youtube. A breve spero di stampare qualche copia, chi è interessato può scrivermi all’indirizzo giorgio.zebele@cosmosociale.it. Vorrei aggiungere infine che lo scorso anno “Perdersi” (il libro scritto dopo il pellegrinaggio a Santiago, ndr) ha finanziato il Progetto Gaviota in Salvador, Guatemala e Argentina a favore dei ragazzi a rischio di affiliazione nelle bande criminali giovanili, le “maras”. Oltre a coprir le spese, abbiamo mandato a Giancarlo Munaretto, ideatore e promotore del progetto, 3.500 euro e ancora ne stiamo raccogliendo. Anche i margini di “Una bici. Anzi due” avranno la stessa destinazione».