I quarant’anni di Radicà: “La nostra comunità parla di vita e di speranza”
E’ un progetto nato ancora nel 1983 quello della Cooperativa Radicà onlus che in una piccola contrada appena fuori dal centro di Calvene ha costruito una realtà fatta di accoglienza e di amore per quelle vite fragili spesso emarginate o peggio lasciate in balia di un futuro tutt’altro che certo. Una grande casa con le porte spalancate divenuta possibile grazie all’impegno di don Beppe Gobbo, determinato ora come allora ad accompagnare e far sentire meno soli ragazzi e ragazze che faticano a trovare un equilibrio tra le proprie risorse e le aspettative di una società sempre più complessa.
Non un prete sui generis don Beppe, che per molti è stato padre e amico, uno di quelli che più che giudicare ti scruta e ascolta paziente. Una comunità variegata quella che quest’anno anche grazie a lui, ha tagliato il traguardo dei quarant’anni di attività: dalla cooperativa sociale “Primavera nuova” con sede a Schio e costituita già nel 1984, per interventi di sostegno educativo e inserimento lavorativo, sino appunto a Calvene, dove era già attiva una serra per produrre piante e fiori, dove sin da subito ci si focalizza sulla comunità per minori, accogliendo ragazzi dai 13 ai 17 anni.
Con la legge del ’91 sulle cooperative sociali, distinte fra servizio alla persona e inserimento lavorativo, “Primavera nuova” si concentra sulla prima mission e nasce “Zattera Blu”, per il servizio alla persona, che aumenta in pochi anni gli spazi nel territorio. E dal 2002 ogni posto operativo diventa cooperativa: Entropia, Samarcanda, Radicà, Adelante e Kirikù.
La Cooperativa Radicà oggi è attiva sul territorio dell’Alto Vicentino in modo articolato: una comunità residenziale, una comunità diurna, il servizio di educativa territoriale e l’area politiche giovanili e sviluppo di comunità con quasi una trentina di operatori totalmente impiegati. Ma è a Calvene che si concentra il lavoro più difficile, quello che non si rassegna mai di riabilitare alla gioia di vivere e di ridare dignità a percorsi difficili: “Abbiamo faticato sin dall’inizio per trovare dove costruire questo progetto – spiega Don Beppe che dopo un periodo in parrocchia vissuto un po’ costretto è voluto scendere in campo in mezzo a quella gente che sentiva bisognosa – finchè poi ci hanno parlato di questa casa sperduta a Calvene. Era ormai un rudere, abbandonato da dieci anni, ma qualcosa ci ha suggerito che era il posto che stavamo cercando. Tra i rovi e le erbacce splendeva un bellissimo pesco fiorito, davvero un segno inequivocabile”.
E riprendendo l’idea della contrada è cresciuta così una casa che non ha mai voluto assumere le sembianze di una clinica o di un rehab, quanto piuttosto quelle di una comunità di vita, un luogo aperto dove non esiste solo la fragilità ed il malessere, ma dove l’aggregazione, il buon stare insieme e le iniziative sono i punti forti di un menù vincente: “Ho in mente tanti volti passati di qua in questi anni – racconta Don Beppe – in particolare tra i tanti ricordo con dolcezza un bimbo zingaro, Eros, abbondonato a Schio tanti anni or sono, solo con la sua coperta sotto la pioggia. Da quando ci è stato affidato è andato a scuola, è cresciuto quasi adottato dall’intero paese che ancora lo ricorda: ora è un uomo felicemente sposato, ma ancora a Calvene chiedono di lui”.