Costo, l’ex biker Zanlorenzi: “Motore on, cervello off. La morte non faceva paura”
Tra i tornanti che salgono verso l’Altopiano dei Sette Comuni sta passando quasi un’estate tranquilla rispetto ad altre. Un “quasi” d’obbligo se consideriamo che la bella stagione è tutt’altro che finita e che comunque i “pirloti” – così come li chiama lui includendosi con grande ironia – nel Costo sono sempre in agguato. Lui è il padovano Omar Zanlorenzi, uno di quelli che la moto l’ha indossata come una seconda pelle e che su quella sella non ci ha lasciato la “scorza” solo per una gran botta di fortuna.
E ora che, dopo due tumori superati e gli alti e bassi di una vita non proprio in discesa, sente di essere un po’ uscito da quella bolla fatta di sregolatezza e di quel qualcosa di indefinibile che va oltre la passione, racconta senza giudicare, quel che è stato il suo mondo sin da giovanissimo: “Ho corso una vita fra quelle curve – racconta Zanlorenzi – le conosco come le mie tasche. Tanti amici ma anche tante cazzate che puntualmente facevamo incuranti del pericolo. E le volte che non salivo, mi chiamavano insistendo perché c’era bisogno del mio show”.
Già, lo “spettacolo”, componente fondamentale per un mondo che si nutre soprattutto di una buona dose di vanità: “Il Costo, non è l’unico posto ma senza dubbio uno dei più rappresentativi in questo senso – spiega ancora l’ex biker – che attira per la sua combo perfetta tra curve, bar e soprattutto pubblico. Vi siete mai chiesti perché chi corre sceglie di farlo nei momenti peggiori e di maggior affluenza? Perché una strada e non una pista? Perchè diversamente non ci sarebbe la visibilità e la gente ad applaudire e lì verrebbe meno quella doppia scarica di adrenalina che per me era peggio di una droga”.
Solo considerando gli anni dal Duemila, una tratto di SP349 che ha pagato un alto tributo di sangue – in verità non sempre motociclisti – ma oltre venti morti sono davvero tanti, troppi, senza escludere feriti gravi che ancora portano segni che non se ne andranno: “La prima volta che ho capito che qualcosa non andava – si emoziona ancora Zanlorenzi – ero salito come tante altre volte con due amici. Giro, birretta di chi era arrivato su in Barricatella per primo e via. Esco e li vedo sfrecciare, tanto ormai avevo vinto io. Ma la loro corsa è finita sotto un pullman: ricordo ancora le urla di dolore e quegli occhi che si sono spenti davanti a me. Sapete qual è stato il pensiero di molti bikers lì presenti? Andarsene prima che arrivassero le forze dell’ordine, per salvarsi le chiappe, per non rischiare qualcosa. Il weekend dopo, ad ogni modo, si correva alla stessa maniera. Io per primo”.
Poi la svolta, l’arrivo di una figlia da una parte e le parole di un poliziotto dall’altra: “Dove non è arrivata la ragione è arrivato il cuore” – ammette Zanlorenzi pensando alla nascita della sua primogenita che lo ha convinto anche a smettere di fumare. “E poi le parole di un uomo in divisa, un grande. Mi ferma, era proprio sul Costo di pattuglia con un collega. Guardava verso la pianura e sentivo che masticava amaro. Sai dove vado ora? – mi chiese duro – vado da una donna a dirle che suo marito non c’è più e le porto un sacco con le tre robe che abbiamo potuto raccogliere da terra. Raggelai. Mi congedò avvisandomi che se mi avesse rivisto – per la cronaca correvo come un folle anche quel giorno – me l’avrebbe fatta pagare anche per tutte le altre volte”.
Parole di chi c’era dentro fino al collo e che oggi ha un solo messaggio per i giovani amanti dei motori: “Svegliatevi prima che sia tardi – scandisce paterno – ve lo dice un ipocrita ed un privilegiato che ne ha combinate tante e ha solo avuto fortuna. Non ci sono soluzioni, autovelox o controlli che tengano: in oltre trent’anni non è mai cambiato nulla. Solo interdirlo potrebbe funzionare: per questo chi corre, ci pensi. Se non lo vuole fare per sé stesso – e non sarò certo io a dirgli di smettere – lo faccia almeno per chi gli vuole bene e un giorno potrebbe non riabbracciarlo più”.