Il ricordo dell’Alpino Miotto è “privato”. Dieci anni fa la morte del soldato in Afghanistan
Il 31 dicembre del 2010 moriva il Primo Caporalmaggiore degli Alpini Matteo Miotto con indosso la sua divisa di soldato, in Afghanistan, a 24 anni. Faceva parte del contingente italiano dispiegato in una “zona ostile” della valle del Gulistan, nell’avamposto di Buji, in un distretto isolato sotto influenza dei talebani, dai quali fu ucciso nel corso di un’imboscata, colpito da un cecchino. Da allora sono passati 10 anni e di ogni 31 dicembre il giovane militare thienese è sempre stato ricordato con una solenne messa e commemorazione pubblica al cimitero comunale ai Cappuccini.
Una cerimonia che stavolta si può configurare come “privata”, in ossequio al regime di emergenza sanitaria che impone un ristretto numero di partecipanti, si è comunque svolta in occasione del decennale di quei dolorosi attimi, alla presenza dei famigliari di Matteo e di una rappresentanza militare. Di quel 7° Reggimento della “Brigata Alpini Julia” di cui Miotto era orgoglioso di farne parte. Da ricordare che alla sua memoria sono conferite la “Croce d’Onore alle vittime di atti di terrorismo o di atti ostili impegnate in operazioni militari e civili all’estero” e la “Medaglia d’Argento al valore dell’Esercito”.
L’ondata malevola dell’epidemia ha ridotto al minimo l’evento programmato per onorare la memoria del soldato thienese, ma nemmeno il Covid ha potuto impedire di rendergli omaggio e, meno che meno, di dimenticare uno dei (troppi) giovani eroi italiani periti in terra straniera, lontano dall’affetto dei propri cari. Anche se le autorità presenti e la gente comune erano presenti in poche unità rispetto al passato, intorno alla tomba dell’Alpino caduto per la Patria, la voce del coro delle penne nere e la presenza di altri giovani come lui in uniforme hanno permesso di conferirgli il giusto e consueto omaggio. Mentre tante associazioni lo hanno ricordati attraverso i canali social, postando immagini di quel giovane ragazzo con il cappello da Alpino e la mimetica che ha dato la vita per il tricolore. Omaggi densi di significati, a maggior ragione 10 anni dopo, con la città di Thiene che ora potrà mettere in pratica iniziative che porteranno il nome di Matteo Miotto. Una via, una piazza, un parco o altre intitolazioni alla sua memoria da mantenere viva.
Dei giorni scorsi una lettera del padre, Franco Miotto, ancora una volta ha saputo toccare le corde più profonde nell’animo di chi ha conosciuto quel figlio partito per una missione di pace e tornato in un feretro dopo aver affrontato gli orrori di una guerra. Rimarcando, nel testo affidato ai social, la fede di Matteo, e raccontando un aneddoto riguardo una statuina di presepe che il giovane alpino aveva ricevuto in dono pochi giorni prima da un sacerdote, e che il 24enne soldato vicentino portava con sè. “E’ trascorso un decennio, 120 mesi, 520 settimane, 3653 giorni – scrive Franco Miotto nella parte conclusiva della lettera che pubblichiamo integralmente in calce – un tempo breve di un’intera vita , ma lungo da gestire per un padre che di un passo non è arretrato nel ricordare il suo ragazzo e mi piace pensare a mio figlio sorridente, magari compiaciuto del suo papà. Si, anche questo è un modo di farlo vivere e autorizzarmi a credere che ne sia valsa la pena”.
Sempre al termine di una lettera scritta circa un mese prima del tragico evento, il figlio Matteo Miotto lasciava queste parole, già note ma che anche qui vale la pena di ricordare perchè senza tempo, anch’esse da conservare. “.Mi ricordo quando mio nonno mi parlava della guerra: “Brutta cosa, bocia, beato ti che non te la vedarè mai.” Ed eccomi qua, valle del Gulistan, Afghanistan centrale, con in testa quello strano copricapo con la penna che per noi alpini è sacro. Se tu potessi ascoltarmi, ti direi “visto, nonno, che te te si sbaià”.
QUEL NATALE IN GULISTAN