Caporalato e sfruttamento: bufera sulle Fonti di Posina. 7 indagati, anche per violenza sessuale
Pesante provvedimento nei confronti di tre manager dell’azienda di imbottigliamento di acque oligominerali con sede a Posina nota per il brand commerciale Acqua Lissa legato alla società “Fonti di Posina spa”: la Procura di Vicenza ha notificato al terzetto di dirigenti la misura cautelare interdittiva per ciascuno di essi, con gravi accuse legate alla sfera dello sfruttamento del lavoro. Oltre a loro, altri quattro collaboratori risultano indagati.
Più lavoratori sarebbero stati costretti a sopportare turni fino a 15 ore ininterrotte, secondo la versione raccolta dalle Fiamme Gialle vicentine, con manodopera costretta a subire delle vessazioni “per mano” di un soggetto interno all’azienda secondo modalità tipiche – e del tutto vietate in Italia – del caporalato. Con l’ombra infine di ricatti a sfondo sessuale e di favorire l’immigrazione clandestina di lavoratori stranieri, anche minori.
I capi di reato emersi in questa fase preliminare si riferiscono all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravato, violenza sessuale, favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno illegali nel territorio dello Stato, utilizzo di manodopera clandestina, possesso e fabbricazione di documenti d’identificazione falsi e falsità materiale commessa da privato. Le indagini erano scaturite in seguito all’esposto presentato da tre operai di nazionalità moldava, formalmente dipendenti di una cooperativa esterna – con sede in Lombardia – ma sotto le direttive dell’azienda vicentina, con sede nel comune dell’omonima Val Posina. In tutto sono 7 le persone indagate a vario titolo, le cui identità rimangono per ora riservate secondo il principio di presunzione d’innocenza, con l’interdizione a svolgere determinate mansioni per 12 mesi comminate al presidente del consiglio di amministrazione, al direttore dello stabilimento e al responsabile del magazzino.
A condurre la prima fase di investigazione sul caso è la tenenza della Guardia di Finanza di Schio, dopo aver raccolto le testimonianze dirette dei tre lavoratori stranieri, a ricostruire i contorni vicenda che li riguarda da vicino, per poi “scoperchiare” altre condotte illecite. In seguito i militari delle Fiamme Gialle si sono recati presso la sede della società attiva nel settore dell’imbottigliamento di acqua minerale e bibite analcoliche, per confermare o smentire la veridicità delle condotte di “sfruttamento del lavoro” lamentate. Poi, sarebbe emerso ben altro dalle “acque” di Posina, su altre fattispecie illecite finite sotto la lente d’ingrandimento della Procura di Vicenza che ha coordinato le indagini. Allo stato attuale, i finanzieri scledensi avrebbero trovato riscontro di turni di lavoro definiti in comando come “massacranti“, fino a 15 ore giornaliere senza interruzioni, mancate fruizioni di pausa pranzo e riposi festivi, corresponsioni di parte degli stipendi “in nero” (al fine di occultare gli effettivi orari di servizio), il tutto sotto la costante minaccia di un ingiusto licenziamento. In questo quadro è emersa anche la figura di un connazionale dei presunti vessati anch’egli originario della Moldavia, il quale avrebbe assunto le funzioni “caporale” allo scopo di arruolare in madrepatria lavoratori stranieri – dietro compenso extra – predisponendo documenti di identità artefatti su cui sono in corso accertamenti.
Di fatto, il sospetto è che questo soggetto favorisse l’immigrazione clandestina. Inoltre, altri capitoli d’indagine sono riservati alle mansioni a cui erano destinati i dipendenti “esterni” della cooperativa, tra cui quella di carrellisti utilizzando muletti meccanici senza possedere la licenza di utilizzo. Un rischio evidente per l’incolumità degli stessi e del personale intorno. Da chiarire anche i contorni di due episodi a sfondo sessuale, con lo stesso “caporale” che sarà chiamato a rispondere dell’accusa esplicita di aver tentato di imporre prestazioni di natura fisica a dei nuovi dipendenti appena assunti. Non ultima, tra le segnalazioni alla Procura, anche quella riferita l’impiego di un minore straniero all’epoca dei fatti, nato nel 2003, inserito in organico con dati anagrafici fittizi per fargli attribuire un codice fiscale in Italia e farlo figurare come già maggiorenne.
L’ordinanza del Tribunale di Vicenza firmata in queste ore ha di fatto aperto un fascicolo su una vicenda dai molteplici risvolti, di rilevanza anche sul piano penale, che inevitabilmente scatenerà una bufera sull’azienda Fonti di Posina. Società inserita nel Gruppo Montecristo che dà lavoro a circa 50 dipendenti, per un fatturato annuo che si aggira sui 20 milioni di euro.