Congo, ribelli alla conquista di Goma: il vicentino Marco Rigoldi in fuga con la moglie Arielle

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“Siamo in Ruanda nella città di Gisenyi, accanto Goma, sani e salvi. Arielle sta bene, il bambino sta bene, io sto bene”. La notizia che il missionario laico vicentino Marco Rigoldi, 29 anni, era in salvo l’ha data lui stesso sui social attorno alle 15 di oggi, 26 gennaio. A Goma, nel Nord Kivu della Repubblica Democratica del Congo (chiamato anche Congo-Kinshasa o R.D.C.) sorge Casa Goma (Centre d’Accueil Saint Augustin), un centro diurno per bambini e adolescenti vulnerabili fondato nel 2020 proprio da Rigoldi, che è originario di Novoledo di Villaverla. Qui insegna anche la moglie Arielle Maweja, in attesa del primo figlio, che dovrebbe nascere fra un paio di mesi.

La citta è in questi giorni sotto il tiro dei miliziani di M23, uno dei gruppi ribelli che da oltre vent’anni tengono sotto scacco la parte orientale della R.D.C., provocando milioni di vittime innocenti. Ieri il gruppo, appoggiato dai militari ruandese, ha dato un ultimatum di 48 ore, chiedendo all’esercito congolose di arrendersi: questa notte e i prossimi giorni saranno quindi particolarmente delicati per Casa Goma, la struttura sostenuta anche dalla diocesi di Vicenza.
Il centro ha chiuso in questi giorni per non mettere in ulteriore pericolo i bambini e le bambine che lo frequentano. “Sembra che i ribelli abbiano preso l’aeroporto di Goma – spiega Rigoldi – dicono ci siano molti feriti”. Nell’area ci sono già 400 mila sfollati.

Goma, città di 744 mila abitanti sulla riva settentrionale del Lago Kivu a poca distanza proprio dalla città ruandese di Gisenyi, è il capoluogo della provincia del Kivu Nord. “Al momento – spiega il missionario vicentino – siamo ospiti di un’amica nella sua casa: siamo così vicini a Goma da riuscire a sentire da qui gli spari e le bombe. Siamo ancora in allerta perché qualche soldato congolese potrebbe decidere di invadere il Ruanda e Gisenyi è il primo paese dopo la frontiera. Pensando però all’armata ruandese, una delle più forti dell’Africa, dubito che questo possa accadere”.
“Anche la donna che ci ospita – aggiunge – ha appena finito di fare la sua valigia: nel caso in cui questa notte i ribelli avanzassero per prendere la città di Goma, infatti, potrebbe succedere che le persone scappino in Ruanda e che ci sia instabilità anche qui. In ogni caso siamo riusciti ad attraversare con la nostra auto e quindi disponiamo di un mezzo per poterci allontanare in caso di necessità”.

Ascolta “Da Villaverla a Goma, in Congo per aiutare i bambini di strada” su Spreaker.

La preoccupazione è soprattutto per Casa Goma, oasi di serenità per tanti bambini e bambine. “Al Centro  – spiega Marco Rigoldi – è rimasta la sentinella diurna: è bloccata lì perché la strada che porta a casa sua è invasa dai militari congolesi che dopo essere tornati in città cominciano a rubare nelle case gli oggetti di valore. Ho già detto alla sentinella di non opporre resistenza nel caso in cui i militari si presentassero al centro. Se sarà necessario riacquisteremo col tempo quanto rubato. L’ultimatum di 48 ore lanciato dai ribelli scadrà domani mattina e se i ribelli e le forze armate cominceranno a scontrarsi dentro la città, allora le bombe cadranno come pioggia ovunque. Potrebbero anche cadere nel centro: oggi una bomba è caduta su uno dei campi profughi”.

“Un altro brutto segno – conclude il missionario, che è fratello dell’ex campione di boxe Luca Rigoldi – è il fatto che i militari dell’Onu dell’operazione Monusco sono stati evacuati e hanno abbandonato la città: questo può far presagire che l’arrivo dei ribelli sia imminente. Prima della nostra partenza c’era una calma appartente: la calma prima della tempesta o la quiete dopo la tempesta? Pregate per Goma, pregate per i congolesi, pregate per tutti noi” è l’appello di Marco Rigoldi.

Un paese ricchissimo di materie prime ma poverissimo
La popolazione è in fuga da Goma, terrorizzata. In città manca tutto: corrente elettrica, acqua e internet. I combattimenti vedono affrontarsi le forze armate congolesi (Fardc) da una parte e i ribelli dell’M23 appoggiati dai militari ruandesi, dall’altra. I governativi sono appoggiati da soldati burundesi, da quelli della Southern African Development Community (Sadc) Mission in the Democratic Republic of Congo (Samidrc), dai Caschi Blu della Monusco e dai miliziani Wazilendo. Il Governo di Kinshasa, la capitale della R.D.C., ha richiamato tutti i suoi diplomatici da Kigali e l’Onu ha confermato la riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza per domani, lunedì 27 gennaio.

La guerra nella R.D.C. ci riguarda da vicino: le cause conflitto che da anni affligge in particolare le regioni del Nord e del Sud Kivu  sono infatti molteplici e interconnesse, ma da imputarsi prevalentemente agli ingenti giacimenti minerari di cui la regione è ricca. Si tratta non solo di uranio, oro e diamanti, ma anche del coltan (columbite e tantalite), indispensabile per il funzionamento di telefonini gsm, computer e per la componentistica aeronautica.

La R.D.C., nonostante questo (o meglio forse proprio per questo), è una tra le cinque nazioni più povere del mondo: nel 2024, circa il 74.6% della sua popolazione ha vissuto con meno di 2,15 dollari al giorno​ (dato World Population Review)​​.
Si tratta di un’area da quasi trent’anni al al centro di famelici appetiti internazionali, non solo da parte delle ex potenze coloniali, come Belgio e Francia, ma anche di Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina e Russia. Le grandi potenze qui agiscono indirettamente, attraverso i governi locali come quello ruandese, gruppi ribelli e grandi compagnie internazionali dagli enormi interesse economici.
Mai come nella regione africana dei Grandi Laghi si realizza quindi il motto romano “dividi et impera”: la guerra è infatti lo strumento per garantire alle potenze straniere l’accesso alle enormi ricchezze presenti nel paese, di cui la popolazione non riesce a beneficiare.