Bullismo a scuola, ecco come la vicenda è sfuggita di mano (agli adulti)
Continua a far discutere, a Zanè e non solo, la vicenda degli atti di bullismo alla scuola secondaria di primo grado “Don Milani”, che ha portato a una frattura fra la preside e gli insegnanti (da una parte) e i genitori (dall’altra) e che ora è approdata sulla scrivania della procura per i minori di Venezia attraverso una segnalazione di alcuni genitori. Gli stessi che si erano già rivolti alla polizia locale con un esposto. La procura ha aperto un fascicolo per violenza privata e violenza sessuale, incaricando i carabinieri di Thiene di svolgere le indagini del caso. I militari del capitano Davide Rossetti stanno tuttavia attendendo dalla stessa istruzioni su come muoversi: ad oggi nessuno è ancora stato convocato o sentito e i tempi di svolgimento delle indagini non si presentano brevi.
Il caso è delicatissimo, visto l’accaduto e trattandosi di tredicenni che per la loro età potrebbero non essere perseguibili. Gli adulti coinvolti si sono chiusi a riccio, risentiti per il clima che si è creato dopo che la notizia si è diffusa: bocche cucite fra i genitori dei ragazzini vittime delle presunte violenze, che parlano solo attraverso l’avvocato incaricato, e silenzio verso la stampa anche da parte dei rappresentati del Comitato Genitori.
La ricostruzione della dirigente. I fatti, come noto, risalgono all’ottobre scorso, con spintoni che sarebbero iniziati per scherzo, forse mesi prima, e che avrebbero coinvolto, secondo quanto afferma la preside Luciana Bassan, solo i maschi di due classi di terza media. “Gli insegnanti sono intervenuti più volte separando i ragazzi – spiega la dirigente – ma poi la vicenda è scoppiata durante il primo incontro del percorso sull’affettività, quando un ragazzino ha parlato esplicitamente di comportamenti dei compagni. Sono stata avvertita dalla psicologa già la mattina successiva e ne ho parlato subito con gli insegnanti, con i due ragazzi individuati come responsabili e con i loro genitori, che si sono dimostrati fin da subito collaborativi”.
Le azioni messe in campo: responsabilizzare o punire? Le insegnanti coordinatrici delle due classi hanno subito preso in mano la situazione, tanto da decidere di chiedere agli studenti di esprimere, attraverso uno scritto individuale, quanto ciascuno aveva visto e come lo aveva vissuto. “E’ stato da questi testi – continua Luciana Bassan – che è emersa una situazione più grave e in parte diversa”. Le vittime sarebbero stati quattro ragazzini, fatti oggetto (racconterebbero loro stessi) di prese in giro, mortificazioni continue, forse spoliazioni e violazioni della propria intimità. “La gravità del bullismo – sottolinea la preside – deriva però dalle dinamiche del gruppo, nel quale c’è chi agisce, ma c’è anche chi assiste, chi non interviene e chi ha atteggiamenti ambigui. Come scuola abbiamo ritenuto quindi che intervenire sanzionando solo i due ragazzi indicati come autori di questi comportamenti fosse troppo poco e che non avrebbe aiutato tutti i ragazzi a crescere e a responsabilizzarsi. Col senno di poi, probabilmente ci siamo dati un obiettivo troppo ambizioso”.
L’idea degli insegnanti, emersa nei due consigli di classe nel corso dei quali si è affrontata la questione, era infatti quella di avviare un percorso con la psicologa, per verificare se dai ragazzi sarebbe uscito altro, e solo alla fine, con un quadro più completo, passare alle sanzioni dei comportamenti sbagliati. Insomma, gli insegnanti non se la sarebbero sentita di offrire ai genitori dei “capri espiatori” che avrebbero pagato per tutti senza avere chiarezza dei diversi ruoli avuti dai ragazzi nella vicenda.
La frattura fra scuola e genitori. Ancora a novembre però, sono emerse le prime contrarietà da parte dei genitori rappresentanti di classe rispetto a questa idea, con la richiesta di punizioni esemplari, subito. Il Comitato Genitori a sua volta ha chiesto l’intervento del laboratorio psicopedagogico di Thiene (servizio messo in campo da una serie di Comuni e Ulss): “Cosa che è stata fatta, anche se in realtà io mi sono confrontata fin dal primo momento con Mauro Ciccarese, direttore dell’unità operativa infanzia adolescenza famiglia dell’Ulss e proprio con lui abbiamo convenuto sulla necessità di un percorso educativo”. Ad allungare le tempistiche di intervento, sempre secondo la dirigente, si sarebbe messa poi anche la burocrazia, in quanto l’attività del laboratorio psico-pedagogico era in scadenza e si doveva attendere un nuovo bando. Al ritorno dalle vacanze, la frattura fra scuola e famiglie è ormai consumata e viene proposto, con l’intermediazione dell’Ulss, un percorso allargato che coinvolga docenti, genitori e i ragazzi, gestito dal Centro Capta di Vicenza, e che prevede anche la creazione di un gruppo ristretto composto da 12 fra genitori, docenti, dirigente, amministrazione comunale e Ulss. Progetto bocciato categoricamente dai genitori delle due classi la settimana scorsa. “Alcuni però – spiega la preside – hanno capito il valore di questa iniziativa. Questa rottura è la cosa che più mi amareggia, sia come dirigente, che come adulto, genitore ed ex docente. Stiamo facendo ai ragazzi, non solo a quelli coinvolti, un danno incalcolabile”.
Una situazione tesissima, che avrebbe visto i genitori dei due presunti “bulli” a loro volta presi di mira dagli altri genitori. Fra i banchi di scuola, intanto, la situazione sarebbe ritornata ad una parvenza di normalità. “I ragazzi – sottolinea Luciana Bassan – si meritano che venga trovata la soluzione migliore per loro, glielo avevo promesso quando sono andata in classe. Io in loro ho fiducia”.
La posizione dei genitori. Di diverso tenore i sentimenti dei genitori che, come racconta Daniela Marchioro, l’avvocato delle famiglie di tre ragazzini bullizzati (la quarta famiglia ha scelto di non procedere legalmente, anche se il procedimento si è aperto d’ufficio), “si sono sentiti abbandonati dalla scuola”. “I genitori che assisto – spiega l’avvocato – hanno atteso a lungo un intervento concreto prima di agire. Abbiamo parlato molto in questi mesi cercando il modo migliore per avere risposte concrete ed efficaci dalla scuola senza rendere pubblica ed ufficiale la vicenda. L’esposto in procura era un atto dovuto per fare chiarezza. I miei clienti avevano l’obiettivo di tutelare, certo, i propri figli, ma anche i ragazzi che potrebbero aver messo in atto le condotte vessatorie. Non hanno divulgato notizie, non hanno mai parlato con i giornalisti, non hanno messo a disposizione i temi. Anzi, attraverso una formale segnalazione all’Ordine dei giornalisti, hanno chiesto provvedimenti e riservatezza. Non sono mossi da sentimenti di rivalsa ma dal desiderio che la scuola, in futuro, ritorni ad essere un luogo sicuro per i figli di tutti”.
La segnalazione alla procura si concentra in particolare sulle responsabilità del mondo scolastico, previste anche dalla nuova legge sul cyberbullismo varata lo scorso anno e prima nel suo genere in Europa. “Le nuove norme – conclude Daniela Marchioro – prevedono che le scuole mettano in campo una serie di azioni preventive, ma le scuole sono pronte a farsi carico di questo ruolo?”.