Marmolada, l’amico di Tommaso: “Era prudente, non facciamo l’errore di proibire la montagna”
“E’ troppo caldo, di solito in questo periodo la neve copre il ghiaccio della Marmolada e il calore scioglie la neve, ma non il ghiaccio, perché la neve lo protegge. Adesso neve non ce n’è e il caldo ha sciolto direttamente il ghiaccio. L’incidente è accaduto per questo”.
A parlare è Matteo Dall’Amico, caltranese, che vive e lavora a Trento dove gestisce un’azienda che fornisce servizi proprio per il monitoraggio della neve. Era un grande amico di Tommaso Carollo, travolto ieri sulla Regina (agonizzante) delle Dolomiti ed era amico anche del thienese Giordano Pertile, precipitato il 7 giugno scorso da quaranta metri sulla Gusela del Nuvolau per un errore umano.
Avevano 48 anni entrambi, sono due amici morti entrambi scalando, ed entrambi appassionati ed esperti di montagna: in neanche un mese il Thienese piange il suo secondo alpinista.
Matteo Dall’Amico parla con la voce piena, con la consapevolezza di chi conosce la montagna e sa che i rischi ci sono sempre, anche quando si è esperti. Erano esperti i suoi amici, lo è anche lui, anche se ora, sconvolto dall’emozione di aver perso un altro caro amico in così poco tempo, si chiede se ci vorrà tornare, in montagna.
“Il prossimo fine settimana dovevo andare con Tommaso a fare l’Alta Via delle Dolomiti – racconta –. Dovevamo partire giovedì, avevamo preso entrambi quattro giorni di ferie, ci siamo confrontati sull’attrezzatura e sul percorso. Mi pare assurdo dover essere nella condizione di decidere se partire senza di lui, oppure se rimanere a casa. Mi chiedo cosa vorrebbe lui, mi chiedo cosa mi sento io. In un mese ho perso due carissimi amici, mi chiedo se devo ancora andare in montagna o no”.
Tommaso Carollo aveva 48 anni, originario di Zanè, era responsabile commerciale in un’azienda di Pordenone, aveva un figlio che adorava e per il quale era un padre responsabile, premuroso e attento. Con Alessandra de Camilli condivideva la passione per la montagna: portava anche lei sulle alte vette, munita di imbraco a scalare, felice. Lei, architetto originaria di Como e residente a Schio, ora è ricoverata all’ospedale Santa Chiara e non è in pericolo di vita. Lui, invece, non c’è più.
Dall’Amico ne ha sentite tante da ieri: ha sentito persone dire che i numerosi scalatori, tra i quali c’erano guide esperte, sono stati imprudenti. Ma lui, altrettanto esperto, spiega che le cose non stanno così, che il suo amico Tommaso ha sempre anteposto la prudenza all’avventura.
“In inverno facevamo sci alpinismo, ma quest’anno c’è stata troppo poca neve e ci siamo accordati per l’Alta Via – racconta –. Ieri è venuto giù un inferno, è stata una cosa non prevedibile. I seracchi ci sono sempre e possono staccarsi, ma questa era una montagna che è venuta giù. Ha spazzato via tutto, un sacco di persone”.
A chi ha sostenuto che a quell’ora un alpinista dovrebbe essere a valle, Dall’Amico replica: “Tommaso conosceva molto bene la Marmolada. Ci andava ogni 3 settimane, aveva un amico lì. A bocce ferme siamo tutti bravi a fare i maestrini, ma quello che è successo era inimmaginabile, prova ne sono tutti gli esperti quelli che sono morti con Tommaso”.
Solare, sorridente, divertente, splendido, con un amore smodato per il figlio. “Tommaso era così, stava con suo figlio ogni volta che poteva – dice Dall’Amico –. Era un uomo coscienzioso e sono certo che ha fatto i suoi conti. E’ successa una tragedia, imprevedibile”.
Dall’Amico torna sulla partenza per l’Alta Via e sottolinea l’incertezza. Riflette, torna sulle accuse agli alpinisti che hanno scalato il ghiaccio con una temperatura troppo alta. E non ci sta. Alza la voce, pensa al suo amico Tommaso: “Io sono qui che penso se giovedì devo andare in Alta Via anche per lui, o se devo stare a casa. Ma decidere di non andare in montagna a cosa serve? Dire di proibire a montagna alle persone perché può essere pericoloso a cosa serve? Bisogna educare le persone alla montagna, non proibire. La vittoria è l’educazione, non la proibizione: bisogna andare sapendo cosa si va a fare. Nasciamo rischiando di morire, bisogna vivere, coscienziosamente, ma senza proibizioni”.