Studio sull’epidemia in Veneto: 37 mutazioni del virus. Tre casi di variante inglese: uno a Vicenza
Conferenza stampa in giornata festiva per un annuncio importante, che riguarda il virus pandemico in quella riconosciuta come la “variante inglese” in almeno tre campioni accertati. Uno di questi provenienti dalla provincia di Vicenza, gli altri due sono trevigiani, scollegati uno dall’altro. “Abbiamo trovato il virus nella versione mutata in Veneto – ha esordito Luca Zaia -, me lo hanno comunicato i ricercatori nella variante inglese alle 23.59 della vigilia di Natale dai nostri laboratori. Bravi innanzitutto a loro per il loro lavoro, è una strepitosa scoperta”.
Si tratta di due uomini e una donna, che presentano dei sintomi, ma nessuno di questi si trova ricoverato in ospedali. Tutti sotto i 45 anni, due giovani. Stanno bene, con qualche linea di febbre e affaticamento. Tutti e tre erano rientrati di recente dalla Gran Bretagna nei giorni scorsi, sono risultati positivi e i loro tamponi subito sequenziati dopo aver appreso del viaggio all’estero. Un quarto caso positivo al Covid-19 ma ancora sospetto riguarda un familiare di uno di questi, e sarebbe quindi un potenziale contagio indiretto.
Presentati inoltre i risultati preliminari di uno studio redatto dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che ha individuato 37 virus isolati in Veneto fino al mese di novembre. Tra questi non figura senza variante inglese ma altre 8 diverse varianti, vale a dire mutazioni, di cui due non riscontrati in altri posti in Italia. A presentare i primi risultati del report la dottoresse Antonia Ricci, direttore generale dell’Izsve. “Tre casi non possono rappresentare l’intera diffusione dell’epidemia in Veneto, ulteriori indagini ci consentiranno di capire se questa variante in determinate zone abbiano contribuito in maniera decisa alla diffusione del virus. Oggi sono solo idee, primi spunti di riflessione, ma l’andamento ad elevata contagiosità in Veneto del coronavirus potrebbe trovare una spiegazione”.
Mostrati nel corso della conferenza stampa una serie di tabelle e grafici che saranno oggetto di una pubblicazione futura, finanziata dalla Regione Veneto a partire dall’estate don 260 mila euro circa ad hoc. Dimostrerebbero che l’estate scorsa i “residui” di contagio del periodo estivo erano legati a un ceppo diverso da quello della prima fase. Almeno secondo l’interpretazione offerta da Luca Zaia nella sua introduzione. “Il virus estivo non aveva a che fare nè con il contagio della prima fase nè con quello attuale – ha aggiunto il presidente della Regione Veneto -, ora è stato dimostrato scientificamente, abbiamo avuto a che fare con una mutazione dall’autunno a oggi. Ad esempio il coronavirus della prima ondata è diverso da quello della seconda”.
A intervenire nel corso del punto stampa quotidiani anche il dottor Roberto Rigoli, il primo sostenitore del tampone fai-da-te, la dottoressa Francesca Russo del servizio prevenzione e il dottor Luciano Fior nuovo vertice della sanità veneta. Intanto i dati nazionali rivelano che l’indice Rt di trasmissione del virus in Veneto si alza ancora, raggiungendo il valore di 1,11: il più alto in assoluto in Italia e uno dei due soli – l’altra regione è il Molise – sopra la soglia di 1. L’unico caso di contagio con variante inglese riscontrati nel Vicentino è riferito all’Ulss 8 Berica.