Arte e dintorni – E’ tornata a splendere a Monte Berico la “Cena di San Gregorio Magno” di Veronese
La Basilica di Monte Berico da cinque secoli sorveglia la città dall’alto. Piazzale delle Vittoria offre ai vicentini un luogo di refrigerio dalla calura estiva. Entrando in chiesa o accedendo dal chiostro, si giunge al refettorio e lì si può ammirare in tutta la sua magnificenza La Cena di san Gregorio Magno di Paolo Veronese, ritornata nella sua sede dopo il restauro conclusosi nel giugno scorso.
L’imponente telero, di quasi 40 metri quadrati, datato 1572, è considerato uno dei capolavori della maturità del pittore.
In quegli anni Veronese, esponente del Rinascimento pittorico insieme a Tiziano e a Tintoretto, dipinge una serie memorabile di Cene ispirate agli episodi evangelici.
Per il lettore che avrà il desiderio di ricercarle in rete, ecco l’elenco: Cena a Casa di Simone (Torino, Milano e Versailles); la Cena in Emmaus (Parigi); le Nozze di Cana (Parigi e Dresda); la Cena di san Gregorio Magno, (Vicenza); la Cena in casa di Levi (Venezia); l’Ultima Cena (Milano). Il pittore declina il racconto di questi eventi conviviali, che nelle scritture spesso caratterizzati da morigeratezza e austerità, come banchetti aristocratici, dando sfoggio di sfarzo e magnificenza, tanto da attirare su di sé lo sguardo severo dell’Inquisizione.
È bene ricordare che tra tutti questi grandi dipinti, la Cena di Vicenza è l’unica ad essere ancora conservata nel luogo per il quale fu ideata, ovvero per la parete di fondo dell’antico refettorio del Santuario.
Il banchetto è messo in scena sotto un arioso portico sostenuto da colonne corinzie che ha un deciso sapore palladiano, affiancato da due scenografiche scale laterali che rendono l’ambiente ancor più teatrale. La scena ritrae una delle cene caritatevoli offerte da Papa San Gregorio Magno ai pellegrini, come narrato dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. In una di queste occasioni, accade il miracolo: tra i dodici pellegrini si manifesta Gesù Cristo, qui raffigurato al centro di fianco al pontefice.
Attorno alla mensa si affaccenda una varia umanità: dalla scala di destra giungono i servitori con variopinte livree; tra i commensali girano i coppieri servendo il vino; sulla scala di sinistra una famiglia di poveri riceve del pane e vicino una scimmia sta sbocconcellando qualcosa su uno sgabello; un bambino elegante con un cagnolino in braccio sosta al centro. Drappi colorati sono posati sulle balaustre a rendere più vero il senso del quotidiano. Il banchetto, tutt’altro che povero, è imbandito con pietanze e stoviglie degne di tutto rispetto. Nulla è inserito a caso, tutto ha un significato teologico e storico, come era uso nella società del tempo.
Il committente dell’opera, il frate Domenico Grana, è raffigurato in abito talare alla sinistra della scena principale. La tradizione vuole che anche il pittore si sia ritratto nella figura di spalle a destra con vestito ocra.
Molte le vicissitudini patite dal dipinto nei secoli: nel 1811 fu trafugato dai soldati napoleonici per essere inviato alla Pinacoteca di Brera a Milano e ritornò a Vicenza sei anni dopo; l’episodio più famoso è quello del 10 giugno 1848, durante la prima guerra d’Indipendenza, quando le truppe austro-ungariche lo tagliarono in 32 pezzi; inorridito da tanta barbarie, l’imperatore Francesco Giuseppe, finanziò il restauro e l’opera ritornò nuovamente nel refettorio nel 1858; e infine nell’aprile del 1916 durante la Prima Guerra Mondiale a titolo precauzionale la grande tela fu trasferita a Firenze, come molta parte del patrimonio minacciato dalle vicende belliche delle nostre zone.
Con un’operazione delicata e complessa, nell’ottobre 2019, la grande tela è stata trasferita per dare corso ai lavori di restauro, condotti sotto la vigilanza della Soprintendenza archeologia, Belle arti e paesaggio delle Province di Verona, Rovigo e Vicenza. Dopo le pause imposte pandemia, il restauro si è concluso a maggio 2022.
L’intervento è stato offerto da Intesa Sanpaolo in occasione dei 30 anni di “Restituzioni”, il progetto che, avviato nel 1989 proprio a Vicenza, e oggi esteso a tutte le regioni italiane, ha permesso di restaurare oltre 2000 opere del patrimonio del Paese.
Preliminare all’intervento è stata l’indagine storico-conservativa – attraverso il controllo delle fonti documentarie, iconografiche e il confronto con altre opere dell’autore, e successivamente si è proceduto con le indagini chimiche e fisiche a supporto dell’intervento materiale.
È stata condotta una pulitura graduale e selettiva con la rimozione della vernice, dei ritocchi, delle velature a tempera e delle stuccature dei precedenti restauri. Successivamente le numerose lacune della pellicola pittorica sono state ricolmate con stucco, e integrate con una tessitura cromatica sia a velatura che a tratteggio.
Dal restauro è riemersa la gamma cromatica timbrica, la vivace combinazione di luci e ombre, la giustapposizione delle campiture di colore, e sui volti e sui panneggi sono ricomparse anche le singole pennellate dell’artista.
Una delle scoperte più interessanti è stata l’utilizzo di diverse qualità di tessuto nel dipinto: ad esempio Veronese ha usato un tessuto a trama più fine nella fascia dedicata ai volti, per una maggiore definizione nei dettagli.
Ora che il dipinto è rientrato in sede e riportato a uno stato molto vicino a quello originale, consigliamo una visita, per ammirare la squillante armonia ritrovata dei colori di Paolo Veronese.