Covid-19, tre famiglie devastate da lutti doppi. Don Sandonà: “Impotenti anche noi preti”
Ci sono Angelo Scalzotto (82 anni) e la moglie Olga, a cui la Pro Loco di Sovizzo ha dedicato oggi su Facebook un ricordo toccante: “Vi ricordiamo come persone ricche di grande umanità, e per il vostro senso di accoglienza. Le porte di casa vostra sono sempre state aperte, aperte al dialogo, al confronto, chi entrava nella coorte di Scalzotto si sentiva subito a casa, con le piacevoli conversazioni di Angelo e con la simpatia e il caffè sempre pronto di Olga”. I due anziani sono morti a distanza di pochi giorni all’ospedale San Bortolo di Vicenza: stessa famiglia, lutto doppio.
Quella Scalzotto non è stata la prima famiglia devastata da un doppio lutto. Ci son stati, una settimana fa, Vittorio Castagna di 82 anni e sua figlia Roberta di 50, prime vittime valdagnesi, anche loro si sono spenti a una manciata di ore uno dall’altro nella terapia intensiva dell’ospedale San Bortolo di Vicenza, dove erano stati trasferiti dopo l’aggravarsi dei sintomi. Vivevano insieme nella frazione di Novale e solo pochi mesi fa avevano perso rispettivamente la moglie e la madre, Idelma Lorenzi. Anche per patologie pregresse che presentavano entrambi, le loro condizioni erano parse ai medici subito gravi e se ne sono andanti a distanza di 48 ore uno dall’altro, pochi giorni dopo il ricovero.
Un doppo lutto aveva colpito anche Luigina Marcon di Vicenza, di 53 anni, che nel giro di una decina di giorni aveva perso prima la madre 84enne Anna Meda, che viveva a Sandrigo, e dieci giorni dopo il marito Francesco Dall’Antonia, morto il 24 marzo sempre nel capoluogo. Ex primario di chirurgia al San Bortolo, volontario della Croce rossa e vicepresidente di Senior Veneto, «un amico, un uomo che si è sempre dedicato agli altri, un grande professionista» aveva commentao il sindaco berico Francesco Rucco.
Tre storie di strazianti dolori “doppi”, a rappresentare però anche tutte le altre, nel tentativo di restituire volti e affetti a lutti che rischiano di non trovare spazi per la necessaria rielaborazione: sono 67 ad oggi le persone morte nel vicentino, avevano fra 50 e 97 anni, avevano famiglie che aspettavano notizie a casa, impotenti, figli e nipoti che non hanno potuto accomiatarsi da loro e che ora li piangono. La prima è stata un’anziana di Montecchio Maggiore di cui non è ancora pubblico il nome, poi – nei primi giorni – Dina Sterchele di Roana, Attilio Pozza e Domenica Canalia di Lusiana Conco, Teresina Tosato di Asiago, Leonzio Vomiero di Piovene Rocchette, Evandro Dalle Ave di Asiago e l’ex sindaco di Vicenza Marino Quaresimin. Fino a quelli degli ultimi giorni: Vittorio Gramatica di Bassano, Lina Torresan di Romano d’Ezzelino, Valentino Rizzato di Zanè, l’imprenditore 87enne thienese Vittorio Ferrarin, Attilio Miola di Bassano, Eugenio Zuliani e Antonia Maria Rigoni, entrambi di Lusiana Conco. Avevamo iniziato a tener nota di nomi e cognomi, ma il susseguirsi continuo dei decessi rende l’impresa quasi impossibile per una piccola redazione. Citiamo quindi questi con l’intento di ricordali tutti e ricordando che alcuni Comuni contano anche 6-7 lutti, come Lusiana Conco e Sovizzo.
Spesso il contagio coinvolge l’intera famiglia, messa in quarantena, e il dramma si amplifica ancora di più. Non solo ci si strugge per non aver più visto il proprio caro, ma non si può neanche lasciare la propria casa per un’ultimo dimesso saluto. «Il coronavirus non è solo un’epidemia, è anche un dramma umano che impedisce di vivere ciò che è assolutamente unico e naturale nella vita: la paternità, la maternità, la vicinanza nella morte e le esequie con la successiva rielaborazione del lutto» commenta don Giovanni Sandonà, parroco di Sandrigo ed ex direttore della Caritas Vicentina. E’ stato lui ad accompagnare in cimitero Anna Meda e a darle l’ultimo saluto anche a nome della famiglia, in quarantena. Con la collaborazione dell’impresa hanno fatto passare il carro funebre davanti casa, perchè i familiari potessero dare un saluto da lontano.
«Le restrizioni imposte, che sono ragionevoli e legittime, rendono tutti gli ammalati soli negli ospedali – aggiunge don Sandonà – e ancora più nella morte. Se poi i familiari sono costretti in quarantena, vi è la reale impossibilità di potersi congedare da genitori o nonni in modo umano e, se credenti, nella fede. Su questo siamo sostanzialmente impotenti anche come sacerdoti. L’unica cosa che ci resta possibile fare è tenere il contatto telefonico con i parenti e inventarci, d’intesa con l’agenzia funebre, un saluto della persona defunta da parte dei familiari. È l’unico modo che ci resta per provare a dare un po’ di umanità, di vicinanza e di fede in un momento così unico e delicato del vivere umano».
Un distacco, che ai tempi del Coronavirus è caratterizzato da sentimenti di incompiutezza e da sensi di colpa per la lontananza. «Alla fine di questa fase di restrizioni – conclude il parroco di Sandrigo – dovremmo valutare come poter, nel modo meno inadeguato possibile, celebrare il distacco delle persone dai propri familiari, rimettendoli nelle mani di Dio e consentendo alle persone un percorso di rielaborazione del lutto».