Femminicidio di Lonigo, l’appello delle politiche venete: “Ora leggi più severe”
“Ancora una donna uccisa dal compagno, che risulta peraltro già noto alle forze dell’ordine e alla magistratura e sottoposto a misure restrittive per violenze contro la propria compagna. A meno di un mese dal femminicidio di Cavarzere, la strage delle donne vittime di violenza in famiglia è un dramma che sembra non aver fine in Veneto”. Manuela Lanzarin, assessore al sociale della Regione Veneto con delega alle politiche di prevenzione della violenza contro le donne, commenta con amarezza e preoccupazione l’ennesimo grave episodio avvenuto ieri a Lonigo, dove un quarantenne ha ucciso a colpi di pistola la moglie e poi è scappato per andarsi a suicidare in una stazione di servizio nel Veneziano. L’omicida risultava dallo scorso luglio evaso dagli arresti domiciliari, misura disposta dall’autorità giudiziaria, insieme al divieto di avvicinamento, proprio per violenze contro la propria compagna.
“Questa volta non possiamo imputare la tragedia al silenzio della donna – dichiara l’assessore –, la vittima di violenza aveva chiesto aiuto e protezione. Tanto da far condannare il suo persecutore. E purtroppo le misure cautelari si sono rivelate insufficienti, o forse inadeguate. La Regione e lo Stato stanno investendo molto in campagne di sensibilizzazione e di aiuto, nel rafforzare la rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio, nel formare le cosiddette ‘sentinelle’ del territorio (dagli operatori sociali, ai medici e ai farmacisti, dagli operatori del pronto Soccorso ai vigili e alle forze dell’ordine territoriali) per affiancare le donne vittime di violenza e per sostenerle nel difficile percorso di richiesta di aiuto e protezione. Ma questo importante lavoro di costruzione della rete, unito anche al lavoro educativo e informativo nelle scuole e nel territorio, deve trovare sponda anche in leggi e in procedure di tutela della donna, più attente e severe”.
Sul caso interviene anche la senatrice del Pd Daniela Sbrollini, che osserva: “Malgrado normative apparentemente più attente, malgrado una opinione pubblica sempre più informata, questi atti di violenza estrema non si fermano. Anzi sembrano aumentare. L’analisi dei femminicidi di coppia evidenzia una storia di pregresse violenze compiute dall’autore in almeno un quarto dei casi censiti – commenta la parlamentare –, che risultano peraltro note a figure esterne alla coppia stessa nel 69 per cento dei casi. Allora non possiamo nasconderci che anche gli organi predisposti alla prevenzione e alla Giustizia risultano troppo spesso inefficaci. Famiglia, scuola, assistenti sociali, Giustizia devono fare di più. Ma anche a livello normativo dobbiamo avere il coraggio di agire con leggi più attente, sensibili e, se serve, severe. Senza dimenticare che la prevenzione è l’unico metodo per evitare queste continue stragi. Già la settimana prossima penso di promuovere una opportuna discussione tra i colleghi del Senato e immagino che verrà istituita una Commissione di inchiesta. E’un obbligo umano, prima ancora che politico”.
Dalla politica veneta si alza anche la voce della consigliera regionale della lista Amp Cristina Guarda: “Non è sufficiente esprimere a posteriori il cordoglio, occorre agire soprattutto sulla prevenzione facendo un lavoro culturale – dichiara -. Devono essere garantite adeguate risorse e rafforzate tutte quelle realtà che operano al servizio delle donne vittime di violenza, specialmente per quanto riguarda l’aspetto legale. Ma il lavoro di prevenzione va fatto anche nei confronti degli uomini, con un’attività di sostegno già sperimentato per fronteggiare le difficoltà psicologiche in caso di abbandono o separazione. Chiederò alla Regione di monitorare e andare a verificare le esigenze espresse dai Centri antiviolenza e da tutte le associazioni che si occupano di questa drammatica emergenza. Ma non solo. Mi auguro che il Veneto faccia da apripista, indossando una virtuale maglia rosa, spronando la politica nazionale a un intervento legislativo serio ed efficace. È assurdo che persone certificate come violente, siano condannate semplicemente agli arresti domiciliari”.
Rabbia, infine, è il sentimento espresso dalla sindacalista Marina Bergamin, ex segretaria provinciale della Cgil di Vicenza. “Rabbia – commenta -, perché questa donna si era ribellata e, probabilmente, ha pagato per questo. Si sarebbe potuto proteggerla di più e diversamente? Forse sì. Come ogni volta, chiediamo azioni concrete per difendere le donne e i loro figli, chiediamo che i centri antiviolenza siano finanziati e che le denunce delle donne non vengano sottovalutate. Crediamo che si debba partire soprattutto dalla cultura e che, quindi, fin dalle scuole si cominci a parlare di rispetto delle differenze e delle violenze contro le donne, in un’azione pedagogica, informativa e di sensibilizzazione. Di questo si deve parlare anche nei luoghi di lavoro e questo è il nostro compito di organizzazione sindacale”.