Il 25 aprile divide ancora: in centinaia contro l’inaugurazione della sede MIS
Domenica di impegno per le forze dell’ordine chiamate a monitorare con oltre un centinaio di uomini il 25 aprile di Vicenza. Da una parte infatti era atteso il corteo promosso da ANPI cui hanno aderito sigle sindacati e vari partiti che da Contrà dei Burci ha raccolto quasi 600 persone, dall’altra era stata annunciata l’inaugurazione della sede del Movimento Italia Sociale in Corso San Felice e Fortunato.
Una cerimonia definita privata, ma tanto è bastato per mobilitare chi ha trovato inopportuna la data scelta – quella del 25 per l’appunto – dove si ricorda la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la fine dell’occupazione nazista e la definitiva caduta del regime fascista: temi sui quali, nonostante gli oltre 78 anni trascorsi, permangono profonde divisioni.
E se fortunatamente il corteo antifascista e il ritrovo del MIS non sono entrati in contatto anche grazie alle disposizioni del questore Paolo Sartori, rimane il malessere di chi non ha digerito la scelta del movimento di ultradestra stante anche il fatto che già la sede inaugurata sarebbe stata operativa da almeno un paio di settimane: “Oggi che la destra è al governo del Paese e del capoluogo berico, si fa ancora più incisivo il tentativo di delegittimazione della Resistenza.
Falliti i tentativi di minimizzare l’adesione del popolo italiano alla guerra di Liberazione, fallita la retorica della ‘guerra civile’ – hanno dichiarato i vertici della segreteria del Partito Socialista berico, tra gli aderenti al corteo – la destra cerca di indebolire i valori dell’antifascismo, valori fondanti della nostra società, attraverso i distinguo lessicali e gli strappi politici.
I fascisti sostennero l’occupazione nazista del nostro Paese, sostennero e contribuirono al massacro di migliaia di italiani durante l’occupazione tedesca del nord Italia.
I partigiani tutti ostacolarono e contribuirono alla fine dell’occupazione nazista, sostenuti dalla gran parte degli italiani che li nascosero, li sfamarono e così facendo rischiarono e spesso persero la vita.
Allora non c’era una strada mediana e non c’è tutt’oggi”.