Muore per sepsi dopo l’intervento all’anca, in piena seconda ondata: esposto dei familiari
Una banale caduta in casa e da lì è iniziato un calvario lungo un mese, dentro e fuori l’ospedale, culminato nel modo più tragico a causa di un’infezione. I familiari di un settantottenne di Vicenza, assistiti da Studio3A-Valore, hanno presentato un esposto per chiedere all’autorità giudiziaria di fare piena luce sul decesso del loro caro, avvenuto il 3 gennaio di quest’anno all’ospedale San Bortolo.
Enrico Cardone, il 4 dicembre scorso cade malamente nella sua abitazione e viene trasportato dall’ambulanza del 118 al nosocomio cittadino, dove gli riscontrano la frattura della base del collo del femore sinistro e anemia postemorragica acuta: il 7 dicembre lo sottopongono a intervento di artoprotesi d’anca sinistra non cementata. La degenza non è agevole per il paziente che, a causa di una retinopatia per la quale si sarebbe dovuto operare di lì a breve, momentaneamente è completamente non vedente e avrebbe bisogno di maggiore assistenza, ma i familiari, causa Covid, non possono accedere al reparto. Viene dimesso il 17 dicembre: in modo affrettato, a parere dei figli, il settantottenne infatti non si regge neanche in piedi e lamenta problemi urinari che sono ben noti ai sanitari.
Nell’ospedale di Vicenza sono i giorni di maggior pressione a causa del Covid-19: i giorni del ricovero coincidono con l’inizio del calo nella presenza di pazienti contagiati, ma si parla comunque di 170-180 pazienti positivi, con 20-25 ricoverati in rianimazione in condizioni gravi e fra i 5 e gli 8 morti al giorno. Anche il pronto soccorso è sotto pressione per il contagio. Dopo le dimissioni, l’anziano continua ad avere urine torbide e maleodoranti, circostanza puntualmente riferita dai figli ai medici che hanno operato il padre, anche se gli infermieri del distretto – attivati per i prelievi domiciliari, e peraltro intervenuti solo una decina di giorni dopo le dimissioni – si limitano a prelevare il sangue asserendo che il resto non compete loro: secondo i dottori del reparto, però, si tratta di una condizione normale dovuta alla procedura di cateterizzazione. Sta di fatto che il 28 dicembre, dopo una seduta di fisioterapia, Cardone inizia ad avvertire forti dolori all’anca e viene di nuovo trasportato al pronto soccorso del San Bortolo, dove gli diagnosticano una lussazione della testa femorale protesica sinistra: viene eseguita una manovra di riduzione della protesi e inserito il catetere urinario, anche se per breve tempo. Pure in quest’occasione, però, l’anziano viene subito rimandato a casa.
Ma il 30 dicembre nuovo, repentino aggravamento: Cardone ha la febbre alta, si sente debilitato. Il medico di base gli prescrive un antipiretico, ma dopo aver visionato, il 31 dicembre, l’esito degli esami del sangue prontamente mostratigli dai figli del settantottenne, che evidenziano valori preoccupanti, conviene con loro sulla necessità di riportarlo al pronto soccorso, dove gli somministrano antipiretici e lo sottopongono a trasfusioni: le algie all’arto inferiore però, persistono, così come i valori della pressione non si stabilizzano. E’ proprio nella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio che per la prima volta il medico di turno riferisce ai familiari che è stata rilevata un’infezione alle vie urinarie, con conseguente prescrizione di un antibatterico. Alle 3.30 di Capodanno, tuttavia, Enrico Cardone viene dimesso ancora una volta, tra le perplessità dei figli che continuano a segnalare anche la situazione critica che presenta la gamba del padre.
Infatti, nel pomeriggio dello stesso primo gennaio, i familiari chiamano nuovamente il 118 perché il loro caro continua a stare male, l’arto è sempre più gonfio e dolente, la febbre sale e la pressione è bassissima. Sarà l’ultimo accesso all’ospedale berico: dopo alcune ore di attesa al pronto soccorso, i medici comunicano che il paziente, in effetti, ha in atto una forte infezione. Nel reparto di Geriatria, dove viene condotto, gli riscontrano una setticemia da escherichia coli ormai degenerata in shock settico. I geriatri riferiscono ai figli che l’infezione si sarebbe dovuta prendere per tempo, che ormai si trova in uno stadio molto avanzato e che il quadro clinico è critico. Tentano con la somministrazione ad altissimo dosaggio di antibiotici, ma è troppo tardi: il 3 gennaio, dopo giorni di dolori e sofferenza, il settantottenne muore.
Questa la ricostruzione fatta dai figli con la consulente legale Alessia Paccagnella: sono intenzionati ad andare a fondo della vicenda e ottenere giustizia e si sono affidati quindi alla società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini. Il primo passaggio è stato chiedere di acquisire tutta la documentazione clinica per vagliarla con i propri esperti. L’esposto, tecnicamente una denuncia-querela, è stato presentato ieri ai carabinieri di Vicenza: i familiari di Cardone chiedono alla Procura berica di accertare, anche alla luce di altri casi simili che si sarebbero verificati nello stesso periodo, se si configurino responsabilità in capo ai sanitari che hanno avuto in cura il paziente, per non aver ottemperato all’esecuzione delle raccomandazioni delle linee guida e buone pratiche cliniche assistenziali, compromettendo definitivamente le condizioni del loro caro, fino alla morte, nella convinzione che, se l’infezione insorta fosse stata fin da subito diagnosticata e curata adeguatamente, la tragedia con ogni probabilità si sarebbe potuta evitare.