Lavoro, è record di dimissioni volontarie nel Vicentino: oltre 35mila nel 2021
Dati che fanno riflettere e che inevitabilmente fotografano la situazione di un mondo, quello del lavoro, che sta rapidamente cambiando. Dopo il 2020 profondamente segnato dalla pandemia e da una riduzione lavorativa importante, il 2021, ha registrato un capovolgimento radicale con 37.725 dimissioni volontarie registrate in provincia di Vicenza. La crescita record è del 47,6% rispetto all’anno precedente, mai così elevata dal 2008, a confermarlo è l’analisi sulle “grandi dimissioni” elaborata dal Centro Studi Cisl Vicenza.
Nella nostra provincia, le cessazioni totali nel 2021 hanno raggiunto quota 106.030, negli anni 2017 e 2018 il numero era stato anche superiore, rispettivamente 110.985 e 111.875. La differenza sta però nel tipo di cessazioni: i licenziamenti individuali per motivi economici sono stati quasi la metà rispetto al passato (2.305 nel 2021 contro 4.860 nel 2019, 4.475 del 2017, o addirittura i 6.610 del 2012) e analogamente anche i licenziamenti collettivi sono drasticamente diminuiti (145 contro 640 del 2017, 605 del 2018 o il picco di 2.960 del 2009). Il termine del rapporto di lavoro volontario risulta il doppio rispetto al 2012 (quando erano state 17.125) e sono costantemente aumentate, con l’unica eccezione appunto del 2020 (quando erano state 24.200, contro le 30.020 del 2019) e del 2016 (20.380 contro le 21.595 del 2015). Così, nel 2021 le dimissioni volontarie sono state il 33,7% di tutte le cessazioni, contro il 28% del 2020, il 29,1% del 2019 e il 23,8% del 2009.
Il fenomeno non riguarda solo i giovani, anche se in questa fascia di età è particolarmente presente, gli under 30 dimissionari nel 2021 sono stati 12.220, contro i 7.955 del 2020 e i 10.700 del 2019; scorrendo gli anni precedenti si nota una crescita quasi costante a parte dal 2012 (quando erano stati 6.425), fatta eccezione ancora una volta per il 2016 e appunto il 2020. Anche per quanto riguarda gli adulti (30-54 anni) le dimissioni sono gradualmente aumentate dal 2012 (9.510) fino al 2021 (19.235), in questo caso con la sola eccezione del 2020 e 2016. E lo stesso andamento, seppure con numeri più contenuti, riguarda i lavoratori over 55 anni, che passano dalle 1.200 dimissioni del 2012 alle 4.270 del 2021 (e nel loro caso la crescita è proseguita anche nel 2020, con 3.530 dimissioni contro le 3.245 del 2019).
Secondo l’analisi della Cisl Vicenza, sono i lavoratori adulti a contribuire in modo più significativo all’incremento delle dimissioni (+6.525 nell’ultimo anno), anche se in percentuale il fenomeno è in crescita soprattutto tra i giovani (+53,6%, contro +51,3% negli adulti e +21% nei senior). Analizzando invece i settori che registrano le maggiori variazioni percentuali nelle dimissioni, spicca il +87% dei servizi alle imprese, noleggi e agenzie, seguito dai servizi di informazione e comunicazione (+67,6%), quindi il commercio (+55%), le attività professionali (+53,8%) e le attività manifatturiere (+52,2%). L’unico settore a presentare un andamento negativo è la pubblica amministrazione (-4,2% le dimissioni nel 2021 rispetto al 2020).
I dati però indicano chiaramente anche un altro aspetto: dietro le dimissioni non c’è alcun desiderio di smettere di lavorare o di cambiamenti di vita radicali, ma vi è la ricerca di condizioni lavorative migliori e di un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Lo dimostra l’incremento delle assunzioni registrato sempre nel 2021 (115.600 contro le 87.795 del 2020, ma superiore anche alle 107.260 del 2019), con un andamento che segue abbastanza fedelmente quello delle cessazioni. Non solo, nel I quadrimestre del 2022, così come del 2021, il saldo tra assunzione e cessazioni è risultato positivo (rispettivamente +2.504 e +2.152), a conferma del fatto che i lavoratori che si dimettono tendono a trovare subito una nuova occupazione, non lo fanno dunque per “stare a casa”.
Proprio su quest’ultimo aspetto richiama l’attenzione Raffaele Consiglio, segretario generale provinciale di Cisl Vicenza: «Questi dati dimostrano che non siamo di fronte ad un fenomeno di grandi dimissioni intese come rifiuto del lavoro per fantasiosi cambi di vita o per pigrizia, come qualcuno vorrebbe far credere. Piuttosto c’è una grande mobilità del mercato del lavoro innescata dalla ripresa economica, che incrementando l’offerta di lavoro offre ai lavoratori l’opportunità di cercare altrove condizioni migliori. Non a caso questo fenomeno era cominciato già negli anni precedenti, in coincidenza con i primi segnali di
ripresa economica. Come per tanti altri aspetti, il Covid ha poi dato al tema una grande accelerazione, spingendo molti a ricercare un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata e in generale una migliore qualità di vita. Lo si vede ad esempio dalla difficoltà nel trovare personale disposto a lavorare di sabato e domenica, non solo negli esercizi pubblici ma anche nelle fabbriche che lavorano a ciclo continuo”.
“Questo cambio di valori -conclude Consiglio- non deve essere sottovalutato o snobbato, anche perché il progressivo calo demografico porterà le aziende a contendersi sempre di più il personale, in particolare i giovani: in questa prospettiva, è evidente che le aziende dovranno rendersi sempre più attrattive e che questo non dipenderà solo dall’offerta economica, ma anche dalla capacità dei datori di lavoro di dimostrare concretamente la loro attenzione al benessere e alla qualità di vita dei dipendenti».