Serie di furti alla mostra su Chernobyl. Gli organizzatori: “è sconcertante”
Ad essere rubata prima di tutto è una grossa fetta di passione di chi, per mesi, ha fatto la spola tra Vicenza e l’Ucraina per offrire un allestimento più realistico e significativo possibile. Prima ancora degli oggetti originali (pacchetti di sigarette del 1986, un pannello con l’effige di Stalin, dvd con filmati d’epoca, maschere antigas e un accendino) inseriti e sottratti nella mostra multisensoriale “Il silenzio assordante di Chernobyl”, in corso a Borgo Casale all’interno dell’ex Caserma Borghesi di Vicenza capoluogo. Anche se si tratta di una parte infinitesimale del compendio di cimeli e materiali dell’esposizione, le incomprensibili sparizioni – visto il valore irrilevante – continuano.
Nei giorni scorsi l’escalation di piccoli furti ha raggiunto il suo apice: atti di microcriminalità che hanno creato una macrodelusione tra gli ideatori, in particolare Devis e Erika Vezzaro, presenti quotidianamente ad accogliere le centinaia di visitatori che da metà febbraio – e fino al 26 agosto – affollano l’edificio trasformato con arte e cuore in uno stralcio di Pripyat, la città defunta, spettrale e ancora oggi contaminata, evacuata in una manciata di ore dopo il disastro nucleare di Chernobyl. Ore che si rivivono passo dopo passo, tra una stanza e l’altra dei circa 40 locali della mostra e soprattutto tra dubbi, incredulità e immedesimazione.
Nelle precedenti edizioni della mostra, a Povolaro di Dueville, Reacoaro e infine Bondeno nel Ferrarese, nulla era mai stato trafugato. Il bagaglio d’esperienze recenti, insomma, non lasciava presagire la necessità di controlli serrati, confidando bonariamente nella civiltà altrui. “I furti continui ci hanno sconcertato – spiega Erika -. Inserire un sistema di videosorveglianza, oltre ad essere dispendioso e prevedere anche una persona addetta al controllo, ormai non è fattibile. E noi non possiamo star dietro a tutti. Forse nelle mostre precedenti c’era la paura anche solo di toccare qualsiasi cosa – questa una delle spiegazioni plausibili secondo la co-fondatrice dell’associazione “I luoghi dell’abbandono” di Dueville che cura l’iniziativa -. Si credeva radioattiva e questo aspetto magari faceva da deterrente. Paghiamo l’onestà di spiegare già all’ingresso che gli oggetti originali sono stati testati con un contatore geiger e di specificare la diversa provenienza di altri. Volutamente non abbiamo inserito teche o plexiglass, ci siamo fidati nel consentire le visite con borse e zainetti. Controlleremo con più assiduità e non ci perderemo d’animo”.
Tra incidenti di percorso come questo ma anche molteplici attestati di stima per il gran lavoro svolto a compensare gli stati d’animo, intanto si avvicina la data fatidica del 26 aprile. Non ci sarà nulla da festeggiare, è chiaro, nell’anniversario dell’esplosione del reattore 4, a distanza di 32 anni dalla tragedia che fece tremare mezza Europa e recise migliaia di vite in un avvicendarsi di mesi surreali, tra dati contrastanti e, appunto, silenzi assordanti. Ma ci sarà da ricordare piuttosto, per chi ha vissuto quei tempi tenebrosi, o da conoscere a fondo per chi finora aveva solo spulciato qualche pagina di libri di storia. Per tutti, ci sarà comunque da riflettere.
Per chi vorrà farlo nel profondo, ad esempio, una volta varcato ‘ingresso della mostra potrà ripercorrere la storia – e il destino – dei “liquidatori“, coloro che furono chiamati a ripulire l’area contaminata. La sensazione sarà di indossare una delle loro tute, guardare con i loro occhi, calpestare gli stessi suoli magistralmente ricreati nelle ambientazioni. Rivivere un incubo che fu, appena 32 anni fa, cruda realtà.